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La paura nascosta

La paura nascosta

Senza grosse pretese e ambizioni, l’esordiente Christopher Smith confeziona questo film. Senza impressionare. Sporco e scoordinato nella struttura, banale e per nulla avvincente nella vicenda, il film non lascia nessuna impronta significativa, nessuna idea nuova, nessun pretesto per illuminare la fantasia dello spettatore. Troppo facile tentare di spaventare con il buio. O con i topi. O con un sotterraneo pieno di tunnel incastrati. Troppo semplice inseguire una scialba protagonista, Franka Potente (brillante tuttavia in altri film, ad esempio Lola correLola rennt, Tom Tykwer, 1998) cercando di guidare pure lo spettatore nell’incubo da lei vissuto. E’ un’operazione per nulla appagante. Totalmente priva di interesse. Soprattutto perché le buone intuizioni e motivazioni iniziali scivolano via rapidamente. Il film si smarrisce come la protagonista, gli aiutanti e l’antagonista.

Tutti si perdono in Creep. Tranne lo spettatore. Che rimane chiuso nel cinema, senza riuscire a evadere. Senza riuscire a cogliere gli sguardi smarriti di chi è in fuga. L’impatto visivo in un film non deve mai mancare. Soprattutto in un horror, se ci si accontenta di mostrare qualche litro di sangue e qualche faccia mascherata, si perde tutta la potenzialità. Lo spettatore deve usare gli occhi per capire e guardare. Ma in Creep c’è poco. Anche la paura si nasconde. Impalpabile.

Un horror nella metropolitana suona di già visto. Tuttavia, attualmente, l’horror sembra essere l’unico genere affiancabile a questo luogo / contesto / spazio. Soprattutto dopo quanto accaduto / visto a luglio, proprio su questo stesso palcoscenico londinese. Un’attualità che spinge inevitabilmente lo spettatore a riflettere sulle proprie paure e angosce. Che costringe pure a fare i conti con quello che si nasconde o che vogliamo nascondere. Ma questo non è Creep. Sarebbe stato un’altro film. Questo di Smith non naviga nei cunicoli alla ricerca di qualche risposta. Non indaga, non scardina, non scuote gli animi e gli sguardi. Non si pone come metafora di una società che nasconde e che si nasconde. È tutto fine a se stesso. Privo di un ordine. Sarebbe troppo riduttivo parlare di occasione mancata.

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