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Vittima o carnefice?

Vittima o carnefice?

Se aspettate un bambino evitate di andare a vedere l’ultimo film di Patrick Alessandrin. Rischiereste una crisi nervosa anzitempo nel vedere cosa vi aspetta, nella peggiore delle ipotesi, appena dopo la nascita del pargolo. Il più poderoso spot anticoncezionale per la grande distribuzione è impietoso nel mostrare le angherie e le sevizie che un neonato può infliggere ai genitori inesperti, proponendo però una chiave di lettura: se il pargolo piange e ne fa di tutti i colori una ragione c’è, e non è insita nella sua tenera età. Potrebbe essere che vi odi e abbia deciso di farvela pagare. Le sue armi, per tenero e inoffensivo che possa apparire, sono le più efficaci e terribili, dal rigurgito al pannolino sporco, dai pianti notturni fino ai sottili ricatti psicologici con il ricorso ad anoressia, autolesionismo e pulsioni suicide. Le prospettive della crescita non sono più rosee: pagelle orribili, sigarette e droga sono le ipotesi migliori.
Nessuno emerge particolarmente bene dalla parodia familiare che viene tracciata nel film, latente e involontario sponsor della vita monastica come soluzione rivalutata e auspicabile. La ricchezza borghese e modaiola non dona tranquillità ma genera distacco persino negli affetti e ribrezzo verso quei gesti naturali e istintivi come l’allattamento al seno, reputata dalla protagonista “cosa da animali”.

Dalla caratterizzazione dei ruoli femminili traspare poi una certa dose di misoginia. Donne sempre impacciate, ninfomani fino alla terza età, cleptomani, infedeli, insopportabili le une alle altre e soprattutto false. Assenti le madri, mostruose le nonne, che disastro! Gli uomini non sono da meno: di fronte a truffatori o falliti l’unico vero vincitore della pellicola, per rettitudine, sembra essere il ricco manager di successo, poco apprezzato ma, in fin dei conti, con il cuore d’oro.
Per il resto siamo davanti a una versione aggiornata e già vista dei vari Senti chi parla (Look who’s talking, Amy Heckerling, 1989), dove il piccolo protagonista si esprimeva con l’inconfondibile voce di Paolo Villaggio. Oggi il bimbo parla grazie al doppiaggio di Aldo Baglio (del trio Aldo, Giovanni e Giacomo) e l’effetto crea disorientamento. Quando non ci si affeziona all’ottima interpretazione vocale del comico ci si spaventa per le bassezze dialettali dell’infante. La regia poi sembra avere il suo unico forte nell’esibizione dei primi piani del bambino (quando per fortuna sta zitto) che, bastardo dentro o no, è pur sempre un’esca efficace ma scorretta per tutti i cuori teneri.

Insomma, un film troppo piccante e ricco di suggerimenti per i bambini, troppo cattivo per le donne, troppo ansiogeno per i padri e persino poco ortodosso dal punto di vista religioso. Non solo si mettono in scena croci e delizie della reincarnazione, ma anima e coscienza sembrano formarsi solo al momento della nascita, alla faccia della “persona fin dal concepimento” che la morale e l’attuale legislazione ci suggeriscono.
Avrà sicuramente successo.

Curiosità
Per il ruolo del bebè sono stati visionati più di duemila bambini per sceglierne uno solo, che compare in tutti i primi piani. Un’altra decina di bambini sono serviti per riprendere le varie fasi della crescita da zero a nove mesi

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