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cultura dell'immagine e della parola

Subsonica – Corpo a corpo

Artista: Subsonica
Brano: Corpo a corpo
Album: Terrestre
Regia: Luca Pastore
Montaggio: Cristina Sardo
Anno: 2005

Ingresso
Tutto il video di Corpo a Corpo poggia su tre pilastri essenziali. Primo, il volto informe e in continuo assestamento di un corpo che ci appare immobilizzato su una sedia (elettrica?) in attesa di una scossa che arriverà di li a poco o che non arriverà mai. Secondo, i corpi nudi, figure marmoree, eremiti catatonici che osservano lo spettatore oltre la macchina da presa – improvvisamente vero ed unico protagonista del video – come fossero Loro ad osservare Noi. Terzo, le immagini proiettate sulla pelle nuda.

Prospetto, aspetto e sala d’aspetto
Non abbiamo più un volto.
Non abbiamo più un corpo.
Non abbiamo una personalità ma frammenti di essa, brandelli del nostro Io che si affiancano, si sovrappongono, che trasmutano l’uno nell’altro. Le immagini corrono, si scontrano. Siamo da soli, in questo magazzino della memoria grigio e freddo.
Siamo bastardi dentro e anche peggio fuori.
Siamo quello che non sappiamo, quello che non vogliamo, quello che rifiutiamo di voler ammettere. Siamo Golem dell’esistenza forgiati con risultanze di scarto di quel che non ci piace.
“Venghino, siori venghino” a rimirar codesto spazio pieno di fenomeni da baraccone e di donne ignude.

La terza guerra mondiale
Tutto si svolge in un grande spazio semivuoto con finestroni e spazi devastati, riempiti a mala pena da pezzi di carne in movimento, da macchine, da muscoli vuoti immobili e sterili. Corpi bellissimi, abbracci, quasi amplessi, carezze, tenerezze e violenza dell’immagine e del linguaggio che da questa ne discende, succosa e densa.
Il vento cambia, la macchina da presa lo segue leggera e sinuosa ora come la matita rossa di una petulante maestrina ora meglio, come un pennarello blu in una grafica minimalista di Undertwasser, e noi con lei.
Ora il mostro composto, decomposto, scomposto, sommatoria dei molti noi è immobilizzato sulla sedia; non può più farci del male, ma può ancora spaventare e spaventa.

Il confine infinito
Un trono.
Un posto di competenza.
Il ruolo che si anela per anni, per una vita intera. La carriera.
La liberazione dalle sfide continue ed estenuanti dell’esistenza ma da cui si rifugge, poiché ne è anche linea di confine.
Sembra non esserci scampo fratello, e lo scampo, in effetti, non c’è.
Ora l’orrore, ora la speranza scorrono sulla pellicola e sulla pelle bianca e tirata del ventre di una donna incinta, pronta a dissipare una nuova vita in quel luogo oscuro, dove la vita evapora, istante dopo istante.
Ci si ritrova ancora e ancora nei totali di quello spazio gigantesco, assurdamente vuoto, un hangar, meglio un macello, dove ganci d’acciaio cromato e lucido catturano fasci di luce piegandoli in curve spaziotemporali che raccontano qualcosa… Qualcosa che è stato meglio non vedere.
Ecco, la solita storia della battaglia s-perduta nello spazio siderale tra la vita e la morte, tra il bene e il male, tra la luce e la tenebra, tra il passato e il futuro, la solita storia eppure mai uguale, nemmeno a sé stessa.
Continua sino al termine il convivio di lascivia, sensualità e libidine tra le immagini proiettate su quei corpi, poi noi stessi, spogliati di ogni protezione; lascivi sì, eppure semplici, mortali, teneri.

Qui ed ora
Continua la musica ossessiva, omofona e monotona come un canto di monaci ortodossi che penetra nelle ossa e fa vibrare, quando non tremare.
Un pugno allo stomaco farebbe meno male in certi casi fratello, che non le immagini delle nostre nudità e delle nostre miserie che soli siamo costretti a sopportare.
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Guardare e osservare i volti mostruosi comporsi e decomporsi, immorali, immondi, picchiati dal ritmo dei Subsonica è una sensazione forte, che piaccia o non piaccia, perché almeno è una boccata d’aria fuori dal pantano del quotidiano, del medio e del mediocre, dalla palude del t u t t o u g u a l e, dal vacuo del quantècarino e del graficamente piacevole, dal brodo primordiale e tiepido del pre-giudizio, del pre-fabbricato e del pre-cotto.

Uscita
Lascia ogni speranza Fratello, oh tu ch’entri, dunque, e non sperar d’uscire senza almeno una consapevolezza: qualche volta sei il protagonista del tuo personale film, altre invece non sei che il telo su cui qualcuno proietta il suo.

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