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Dalla giungla d’asfalto alla foresta equatoriale

Dalla giungla d’asfalto alla foresta equatoriale

Alex (il leone), Marty (la zebra), Melman (la giraffa) e Gloria (l’ippopotama) sono gli animali antropormorfizzati protagonista del nuovo film di animazione digitale prodotto dalla Dreamworks, dopo Shrek (id., Andrew Adamson, Vicky Jenson, 2001) e Shark tales (id., Bibo Bergeron, Vicky Jenson, Rob Letterman , 2004). L’azione inizia al centro della giungla metropolitana più selvaggia, il centro di New York, dove i quattro animali vivono una vita da star al centro delle attenzioni visitatori dello zoo cittadino. Alex è l’attrazione più richiesta dal pubblico e vive da perfetto newyorkese mentre Marty sogna le distese delle praterie e la libertà che gli viene negata dalle gabbie. Una serie di eventi porteranno i quattro animali ad essere imbarcati da un gruppo di animalisti per essere liberati nelle loro terre di origine, ma un incidente navale li farà sbarcare nel mezzo del selvaggio Madagascar.

Il topos alla base della storia è evidentemente legato al senso di inadeguatezza provato da Marty nei confronti di un habitat che non sente suo e, col susseguirsi degli eventi, si assiste a una particolare evoluzione di uno dei temi più classici per le commedie di tutti i tempi: da sempre infatti l’idea di prendere un personaggio, estrapolarlo dal suo contesto, porlo in una situazione per lui inconsueta e osservare come egli reagisce è uno; qui si assiste al paradosso di assistere al ritorno dei protagonisti (animali) al loro ambiente primordiale, a cui evidentemente non sono preparati. Gli animali si trovano così spiazzati in mezzo alla natura (la giraffa ipocondriaca è fra le trovate migliori) ma pian piano ritrovano i propri istinti naturali, fino a ristabilire l’ordine della catena alimentare, mettendo a dura prova il legame della loro amicizia.

Madagascar segna un passo avanti dell’animazione digitale, rievocando stilisticamente la tecnica dello squash & strech (schiaccia e allunga) ovvero una sorta di slapstick animato in cui i corpi (virtuali) dei protagonisti vengono deformati, allungati e schiacciati per poi tornare alla loro forma originale come se fossero una molla elastica. « Questo tipo di scelta richiedeva un procedimento impossibile da realizzare con dei computer lenti – sono le parole del regista McGrath – ma la tecnologia odierna ci ha permesso di ottenere i risultati che ci eravamo prefissati. Il risultato è una fisicità plastica dei personaggi capace di conferirgli una grande comicità ».

Il film è un buon prodotto di tecnica e di sceneggiatura, senza però eccellere rispetto alla media offerta da questo genere (ormai affermato) in cui Dreamworks contende lo scettro a Disney, Pixar e Fox. Forse per mantenere il livello adatto soprattutto a un pubblico imberbe si è scelto di puntare molto sull’aspetto educativo della storia, in cui l’amicizia ha il sopravvento sull’istinto, scadendo a tratti nel moralista. Dopo scelte opinabili come in Shark Tales e Robots (id., Chris Wedge, Carlos Saldanha, 2005), finalmente buono il doppiaggio, che ha affidato le voci al quartetto “zelighiano” Fabio De Luigi, Micelle Hunziker, Ale e Franz.

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