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cultura dell'immagine e della parola

Megalomania

Megalomania

Il giovane protagonista, Apletaev, è un uomo senza qualità e sprofondato totalmente nell’alienazione del mondo contemporaneo, della burocrazia e del lavoro da scrivania. Di certo non si può prescindere dalla collocazione spazio-temporale del libro: la Russia di Putin, sbattuta tra una malavita ricchissima e l’estrema povertà di quelli che possiamo considerare “uomini comuni”. Ed è davvero un urlo degli uomini comuni questo, contro un periodo storico di cambiamento e di passaggio.

Il cannibale Andrej Evilenko, che vagava per la grande Russia mentre Gorbaciov prendeva il potere e poneva fine al comunismo, faceva strage di giovani. Apletaev, invece, trasforma i suoi giorni ordinari in giorni di follia, in una sorta di ribellione cieca verso tutto ciò che lo opprime. La soluzione non si trasforma in liberazione, ma in un gioco ancora più confuso, dove realtà e immaginazione diventano la medesima cosa. Sarebbe bene dubitare di tutto il libro, forse, che non fa altro che affastellare la stanchezza cancerosa del protagonista, in eventi di violenza, che potrebbero benissimo non essere mai avvenuti. La sua passione, il suo dolore, sono narcotizzati dalla noia, dall’inedia, da un impossibile riscatto. La furia diventa sempre meno realistica, estremizzata ed estetizzata come in un videogame.

Non si crede all’invenzione del libro, l’incredulità non si sospende e le parole scorrono via solo per se stesse. Non si entra nel dramma lacerante e attuale di Apletaev, lo si comprende con razionalità, ma si rimane sopra le sue vicende, senza parteciparne.

Chiuso e pieno di effetti speciali, troppo compiaciuto dell’apparenza superficiale delle sue parole: forse potremmo descrivere così anche il suo protagonista, ma il libro stesso si vende da solo, con troppa violenza, con l’eccesso come unica arma di offesa e difesa. Ma l’eccesso non è solo della violenza raccontata, è soprattutto la vanità del suo effettismo. Una scrittura compiacente, che nella sua magnificenza non cerca nessun contatto con il lettore, ma continua a vivere, imperterrita, nella sua strabordante sintassi.

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