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Vi ricordate il film Ned Kelly (id., 2003)? il western australiano con Heath Ledger e Orlando Bloom uscito un paio di anni fa? Quel film, cresciuto nel periodo di rinascita del western contemporaneo (Rodriguez, Costner e Howard), era opera di Gregor Jordan, rampante regista australiano autore anche di questo Buffalo Soldiers. Il punto non è ripercorrere le tappe cinematografiche del regista, solo annotare che anche se può sembrare folle o irreale, Jordan ha diretto Ned Kelly due anni dopo questo maledetto Buffalo Soldiers.
Sono ormai leggendarie le disavventure che questo film ha dovuto affrontare prima di arrivare nelle sale italiane e americane. Presentato nel 2001 al Toronto film festival, deve uscire nelle sale il 18 settembre 2001, ma sappiamo fin troppo bene cosa successe una settimana prima. Per evitare clamori, visto la non ottima impressione che il film dà dell’esercito americano, della sua serietà e della sua etica, viene chiuso nel ripostiglio nella Miramax, distributrice in America per un anno. Rispolverato l’anno successivo per il Sundance, nonostante l’ottima risposta del pubblico, causa guerra in Afghanistan viene richiuso nello stesso ripostiglio. Passano altri tre anni e un’altra guerra prima che questo film, che ha il solo difetto di trattare un tema troppo scottante per la politica militare contemporanea, possa uscire nelle sale. E’ tremendamente ingiusto quello che è stato fatto a una pellicola che per commistione di generi (dal noir, alla commedia sarcastica, passando per il melodramma morale) si trova ad essere uno dei migliori esempi di cinema indipendente contemporaneo.

Scordatevi MASH (id., Robert Altman, 1970) e la sua satira allegra, mentre Three Kings (id., David O. Russell, 1999) non ha neanche la metà del potenziale polemico sulla gestione delle forze armate americane: Buffalo Soldiers è molto ma molto più cattivo. Il divieto ai minori di quattordici anni in questo caso mi trova perfettamente d’accordo, perché al di là delle critiche non mancano scene forti, dove l’eroina viene tagliata e consumata senza problemi fino a quando non ci scappa il morto.
La prospettiva che Jordan dà dell’esercito, persino moderata rispetto a quella data da Robert O’Conner nel libro da cui è tratta la storia, è di un gruppo di delinquenti, finiti sotto le armi solo per evitare destini peggiori. Non vi è alcun tipo di disciplina o morale nei giovani americani arruolati che infatti finiranno per scontrarsi con un sergente che ha fatto della rigidità militare la sua essenza. Scott Glenn rappresenta la vecchia scuola, quella che nel film finisce addirittura per sembrare quella sbagliata, antagonista del codardo opportunismo del protagonista Joaquin Phoenix, che invece campa nell’esercito contrabbandando missili e altro materiale bellico.

In questo film l’esercito sembra proprio tutto l’opposto di quello che dovrebbe essere. In un momento storico come questo, in cui migliaia di ipotetici Ray Elwood combattono in Iraq e giocano con le redini della libertà politica e delle ideologie democratiche, l’unica speranza rimasta dopo aver visto il film è che in fondo Jordan ci abbia raccontato sarcastiche estremizzazioni.

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