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Intervista a Naomi Klein e Avi Lewis

Naomi Klein è sceneggiatrice del documentario, ma famosa come giornalista e saggista, autrice del bestseller No Logo, considerato la “bibbia dei No Global”, Avi Lewis è regista di The Take nonché, nella vita, marito di Naomi.

Perché scegliere di raccontare un episodio del genere dall’Argentina?

Avi Lewis – Abbiamo deciso di raccontare questa storia dopo la prima volta che siamo stati in Argentina. Era il 2001, circa due settimane dopo il crack economico. Le banche avevano ritirato milioni di dollari e l’intera nazione, un tempo considerata molto ricca, è caduta nella miseria. Ci siamo resi conto che un popolo intero stava ribellandosi contro il Neoliberismo selvaggio, contro le regole economiche introdotte durante la dittatura e portate avanti dall’ex presidente Menem. La caratteristica peculiare di questa ribellione è stata la sua vena creativa e democratica conto il capitalismo sfrenato. Al posto di mettere insieme tante storie che raccontassero questa realtà, abbiamo preferito approfondire un aspetto particolare, come la presa delle fabbriche da parte di quegli ex-operai che si sono trovati in strada senza un lavoro da un giorno con l’altro.

Naomi Klein – Non siamo stati noi a scegliere la storia, in un certo senso è la storia che ha scelto noi. Gli eventi che hanno sconvolto l’Argentina nel 2001 sono stati violenti e molto forti, i giornali e i mass media hanno dimenticato in fretta questa realtà perché eventi più gravi per l’Occidente sono accaduti dopo l’11 settembre 2001. L’Argentina è un paradigma di cosa voglia dire l’espressione “un altro mondo è possibile”. Nell’arco di un anno oltre 200 fabbriche, dopo l’esempio offerto da quelle che abbiamo raccontato nel documentario, sono state occupate e rimesse in moto al grido di “Occupate, resistete e producete!”. Il caso dell’Argentina è esemplare, è un paese al confine tra il primo mondo Occidentale e il terzo mondo. Data l’alta presenza di emigrati italiani è considerata quasi un’estensione dell’Italia, dopotutto molti sono i risparmiatori Italiani rovinati dal crack argentino, e lo stato quasi non è percepito come parte del continente sud-americano, ma un’estensione dell’Europa. L’interesse per quello che accadeva da parte del pubblico Statunitense ed Europeo era dovuto anche dalla difficoltà di distinguere le distanze in uno stato lontano fisicamente ma percepito culturalmente ed economicamente prossimo.

Perché il cinema argentino difficilmente esprime la drammaticità della situazione argentina, limitandosi a raccontare il passato?

N.K. – Quando siamo arrivati per la prima volta nel 2001 in Argentina, dopo l’allontanamento del presidente Menem, ci ha stupito sentire che la dittatura finalmente era finita. Noi credevamo che la dittatura fosse terminata nel 1983 con l’avvento della repubblica, ma solo nel 2001 il popolo ha superato quello stato di torpore causato dalla paura che era stata inculcata da De La Rua. Non a caso gli operai sono stati supportati dalle madri dei desaparecido della Plaza de Mayo. Gli argentini ora vogliono riscoprire una consapevolezza che gli è mancata per lunghi anni, vogliono parlare del presente ma anche ancorare la propria identità al passato, per capire/capirsi. Menem ha basato al sua politica con lo “sterminio dell’avversario politico”, eliminando culturalmente (e a volte fisicamente) l’opposizione della sinistra. Il terrore iniziato fra il 1976 e il 1977, per gli argentini non è stata fatta giustizia in alcun modo così il racconto del passato è importate per creare in forma terapeutica una sorta di sensazione di giustizia. Il titolo del film avrebbe potuto essere “i nostri sogni non entrano nelle vostre urne” a sottolineare la totale sfiducia del popolo argentino rispetto ad una classe politica che li ha portati alla rovina.

Pensate che la democrazia partecipativa è un modello politico-economico esportabile?

A.L. – Le crisi delle democrazie creano reazioni molto differenti. La democrazia partecipativa o cooperativismo non è la soluzione di ogni problema, ma è una di centinaia di alternative possibili. Le soluzioni devono essere trovate considerando sulla storia e sulle caratteristiche specifiche del luogo dove devono essere prese. Il cooperativismo si sta opponendo in modo intelligente al sistema delle Corporation e si sta sviluppando anche nel Nord America. Naomi chiama questa situazione “la nuova impazienza”, ovvero la volontà delle persone comuni di partecipare attivamente alla vita politica/produttiva del proprio paese.

Quale è stato il ruolo dei mass-media nella vicenda argentina?

N.K. – La reazione dei mass-media in Argentina è stata molto più forte di quanto ci si potesse aspettare, molto più che nei confronti degli scioperi dei piqueteros. Allora si erano dimostrati molto ostili, mentre nei confronti del movimento di occupazione delle fabbriche si è verificato anche una parziale forma di supporto agli operai. Il movimento di occupazione non è stata ostile come i picchettaggi del passato, nessuno impediva a nessuno di lavorare, anzi si stava assistendo ad una nuova forma di sciopero in cui si rivendicava la volontà di lavorare. L’eredità del peronismo ha contribuito a diffondere un profondo rispetto per il lavoro e chi si batte per lavorare. La copertura dei mass-media è stata perciò benevola proprio perché non si è trattato di uno sciopero ma di un capovolgimento delle parti. I lavoratori non potevano essere umiliati, nella loro lotta traspariva una grande dignità. Inoltre era percepibile un grande sostegno della gente comune. L’opinione pubblica era favorevole alle occupazioni. In Europa e in Usa non c’è altrettanta considerazione della volontà di lavorare. Dovremmo imparare qualcosa. Basta pensare all’episodio in cui le donne della tessitura Brukam pretendono di tornare in fabbrica, si trovano davanti ad un intero esercito armate solo della propria disperazione. Non c’è stata però “tensione”, non si è parlato di tattiche terroristiche dei dimostranti o di violenza, come invece è successo per gli espropri proletari in Italia.

Gli eventi dell’11 Settembre sembra che abbiano favorito la globalizzazione piuttosto che il movimento No Global, che ne pensate?

[img4]N.K. – Ricordo che il pomeriggio stesso dell’11 Settembre, Silvio Berlusconi disse che allora era chiaro che le persone che hanno fomentato i fatti del G8 di Genova erano dei terroristi. Non aspettavano altro che un pretesto per poter cambiare argomento e dimenticare quello che era successo. Questo film è un pezzo del puzzle che vuole dimostrare che dal 12 Settembre le azioni contro il Neoliberismo non sono diminuite, anzi sono aumentate non tanto in quantità quanto in qualità e il Sud America ne è un esempio eclatante. C’è un legame forte tra violenza ed economia egemone, vedi l’intervento militare in Iraq. Non era passato nemmeno un mese dalla presa di Baghdad perché si cominciasse a discutere della privatizzazione di tutto l’Iraq, questa è economia instaurata con un atto estremo di violenza, la guerra.

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