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Odio, amicizia e amore ai tempi di William Shakespeare

Odio, amicizia e amore ai tempi di William Shakespeare

Chissà se il bardo di Stratford-upon-Avon avrebbe apprezzato quest’ultima trasposizione cinematografica tratta dai suoi drammi. Drammi che spesso sono stati impiegati come semplici idee e spunti per sceneggiature e trasposizioni recenti, ma poco fedeli. Basti pensare al Re Leone (The Lion King, Roger Allers e Rob Minkoff, 1994) oppure a O come Otello (O, Tim Blake Nelson, 2001).

In tal caso la sceneggiatura di Shakespeare, è trattata in maniera fedele. L’inglese Michael Radford non ha voluto trarre spunto, per sua stessa ammissione, ma ha preferito esaltare la semplicità, l’efficacia di una trama, di sentimenti, di coinvolgimenti sempre molto attuali. Lo stesso Pacino aveva nel suo Riccardo III (Looking for Richards, Al Pacino, 1996) esaltato la sacralità dei testi di Shakespeare, in quel caso offrendoci un prodotto finale che ne stigmatizzava l’arte teatrale, una bibbia – documentario per capire come il cittadino comune si trovi di fronte alla grandezza di un intreccio sempre molto moderno che non cade mai in prescrizione. Qui invece ci troviamo davanti ad una semplice, se così vogliamo definirla, resa sullo schermo: una trasposizione.

Le atmosfere, gli ambienti, i costumi della Venezia della fine del XVI secolo sono ricostruiti alla perfezione. Il disprezzo e l’odio per la popolazione ebraica sono palpabili in ogni istante della pellicola, al servizio della quale proprio l’interpretazione di Pacino risulta speculare, bruciando ancora una volta del sacro fuoco della recitazione, offrendo alla platea cinematografica un ruolo solcato dal volto esangue di quest’usuraio deriso, maltrattato e al fine ripagato della sciagura altrui. Pronto per portare all’esterno del ghetto, nell’aula del tribunale della serenissima, una lotta che va al di là della semplice frizione ancestrale che divide lui e Antonio, quest’ultimo mercante e commerciante di successo, che per semplice fato ha avuto la possibilità di costruirsi una fortuna con mezzi leciti. Non va dimenticato che all’epoca gli “infedeli” ebrei non potevano essere proprietari di alcunché e quindi erano spinti verso l’usura, una pratica condannata duramente dagli integralisti cristiani.

Jeremy Irons, altro attore che come Pacino si è consumato sulle assi del palcoscenico ad interpretare ruoli Shakespeariani, porta sullo schermo un personaggio spregevole tanto quanto il suo antagonista usuraio, ma che non ne esalta le vaste capacità interpretative. Al solo Pacino infatti viene offerta l’occasione di serrare i pugni in scena, esaltandosi grazie a quel che meglio riesce a fare, ovvero due monologhi con sguardo livido pronto ad affondare la lama alla ricerca della sua penale.

Il resto del cast, a partire dal co-protagonista Joseph “Bassanio“ Finnes, non nuovo anch’egli, a interpretazioni shakespeariane, basti ricordare Shakespeare in Love (id., John Madden, 1998), si fa sottrarre la scena dai due attori di cui sopra offrendo ruoli e interpretazioni senza eccedere e che, come nel caso della direzione di Radford, non si limitano a nulla più dell’esecuzione di un semplice compito.

Curiosità
La pellicola è stata presentata fuori concorso alla LXI mostra di Venezia (2004). Girata a Venezia per le riprese esterne e in Lussemburgo per quelle interne, ha creato feroci polemiche nella comunità ebraica per l’interpretazione di Al Pacino

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