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cultura dell'immagine e della parola

La realtà. Perfettamente la realtà. Purtroppo


Mi è difficile riuscire a confrontare in maniera oggettiva il film Certi bambini al libro di De Silva da cui è stato tratto, perché ho vissuto la visione del primo troppo intensamente e le emozioni che mi ha lasciato non mi permettono di parlarne con razionalità.

Probabilmente sarebbe stato meglio leggere prima il libro, perché con il suo stile asciutto, freddo e quasi telegrafico De Silva scrive la sua storia lasciandomi al di fuori, rendendomi una spettatrice della tragedia quotidiana, che si svolge non lontano da me, ma non in me.
Così il libro non mi ha portata dentro la tragedia. Forse perché tratta di realtà di cui conosco l’esistenza ma che effettivamente non mi appartengono, storie di cui sono abituata a sentir parlare ma che non mi hanno mai toccata da vicino. Sicuramente anche perché l’autore non lo voleva: «Rosario vi piace. Rosario non vi riguarda».

Rosario è un bambino di 11 anni che vive con sua nonna in un povero quartiere di periferia di una qualsiasi città del sud Italia. Ha abbandonato la scuola e trascorre le giornate con il suo gruppetto di amici, tra sigarette, alcool e furtarelli per un camorrista, che li sfrutta e abusa di loro. Gioca a calcio e gira con una pistola. Accudisce amorevolmente sua nonna e accoltella un pedofilo per rubargli la borsa. Con i suoi amici va a fare sesso a pagamento con una bambina venduta dalla madre. Rosario è buono e violento, ruba e regala, ama e tradisce.
Rosario è un bambino, ma sa quando deve abbassare lo sguardo. La strada gli ha insegnato tutto quello che gli serve per sopravvivere, ma nessuno gli ha insegnato la differenza che passa tra ciò che è bene e ciò che è male. E anche quando incontra la “parte buona del mondo”, questa non riesce ad essere abbastanza buona da dimostrargli di poter vincere la parte malvagia.

De Silva non coinvolge troppo emotivamente il lettore probabilmente perché non vuole che questo si lasci sopraffare dai sentimenti e perda quella lucidità che serve per analizzare e capire la sua denuncia sociale. Ma dopo l’intensità con cui avevo vissuto il film mi è dispiaciuto sentirmi come un’estranea che osserva dalla finestra quei bambini che avevo già cominciato ad amare.

C’è da dire che questo film fa parte di quei pochi che riescono a essere migliori dei libri da cui sono stati tratti (penso che l’autore non me ne vorrà, anche perché lui stesso ha partecipato alla scrittura della sceneggiatura) e i motivi, in questo caso, sono principalmente due:

La struttura narrativa del racconto nel film è ribaltata:
il libro comincia dalla fine e poi ci spiega come si è arrivati a quella tragica conclusione: ciò toglie moltissimo pathos al racconto.
Nel film invece la tragedia è annunciata, ma ci si arriva un passo dopo l’altro, percorrendo insieme a Rosario il cammino che ci renderà coscienti del fatto che non esiste possibilità che le cose vadano in maniera diversa. Sappiamo di ingannarci, ma conserviamo con lui la speranza che le cose possano prendere un’altra piega e insieme a lui viviamo la tragedia.

La migliore resa del flashback e dei ricordi:
Quello che finora non ho specificato è che la storia si svolge sottoforma di flashback: Rosario è salito sulla metropolitana che lo porterà al suo appuntamento e lì seduto pensa e ricorda. Frastagliatamente conosceremo pezzi della sua vita, e starà a noi ricucirli per conoscere il suo mondo. Vivremo i suoi incontri importanti, vedremo i pensieri mischiarsi, mescolarsi e sfumarsi. Addirittura alcuni episodi saranno ricordati due volte, sottolineando ogni volta aspetti diversi, a seconda dello stato d’animo del bambino.[img4]
La tecnica dei flashback è adottata sia nel libro che nel film, ma in quest’ultimo riesce ad avere una presa e una forza superiori, forse perché le immagini hanno un impatto più forte, forse anche perché gli stacchi sono stati inseriti in punti più adatti e non sono disgiunti gli uni dagli altri come nel libro, ma seguono una concatenazione che determina maggiore armonia.

Nota: per chi come me si fosse chiesto come mai il camorrista Casaluce, capo del gruppo di bambini, abbia tremato tanto davanti a una tazzina di caffè stracolma di zucchero (che per quanto disgustosa non spiegava tale terrore) sappia che nel libro viene data la soluzione: è diabetico.

Certi bambini, romanzo di Diego De Silvia, 2001, ed. Einaudi
Certi bambini, regia di Andrea e Antonio Frazzi, Italia, 2004

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