hideout

cultura dell'immagine e della parola

Nel migliore dei mondi possibili

Nel migliore dei mondi possibili

Marek van der Jagt/Arnon Grunberg
«Mai in vita mia ho dubitato della bontà di questo mondo e della bontà delle persone». Parola di François Lepeltier. Alias Rodolfo Ceccherelli alias Richard Müller. Alias Bruno Ritter. Il mostro di Gstaad.

Così, in chiusura, il secondo romanzo di Marek van der Jagt, alias Arnon Grunberg: Gstaad 95-98. A dire il vero, il resoconto del periodo trascorso dal protagonista (e narratore) nella cittadina svizzera occupa solamente le ultime sessanta pagine del libro. Come avveniva in Storia della mia calvizie, opera prima di van der Jagt, in cui il tema annunciato dal libro, seppur simbolico, è pretesto. Ciò che precede l’ultima sezione, omonima, di Gstaad 95-98 è antefatto. Come il sommelier Bruno Ritter è divenuto l’uomo che è.

E com’è, questo sommelier? Difficile dirlo. Almeno secondo i parametri del mondo alla rovescia in cui si aggira. Un teatro in cui essere sgradevole diviene il maggior motivo di attrazione. Dove avere pietà significa violentare, sorvegliare vuol dire amare. Andarsene via suicidarsi. Dove uccidere, tuttavia, significa uccidere. Non sono i nessi causali a saltare: la logica è ferrea. A saltare sono i canoni morali con cui giudicare le azioni degli uomini. La sequenza sconvolgente di abiezioni che il protagonista compie acquista candore con lo scorrere delle pagine, e l’impresa (terribile) del romanzo sta nel portare il lettore in questo mondo franto, slegato. Le pagine si accumulano a sinistra, e François Lepeltier diventa per chi legge qualcuno di familiare; forse perché ha confessato l’inconfessabile, e soprattutto per il modo in cui lo ha fatto. Con una semplicità e una tristezza disarmanti, intollerabili.

Il grande successo di Storia della mia calvizie difficilmente potrà ripetersi con questo romanzo: troppo complesso e spiazzante. Eppure là, nell’opera prima, gli elementi di Gstaad ci sono già tutti: una madre enigmatica e indifferente, amata alla follia; le località turistiche di montagna, con la loro popolazione depressa e indolente; la descrizione di sentimenti contraddittori, dolorosi; la passione animalesca, la febbre (ricordate l’amour fou?); e soprattutto il delitto: assurdo, inspiegabile. Gratuito?

E lo stile; la lingua di van der Jagt (ché dire Grunberg è altra cosa). Una lingua vibrante, scarna, “circolare”, che riprende sentenze e sintagmi come fossero litanie, ricreando sulla pagina le connessioni sembrano mancare nello svolgersi degli eventi. Il “bambino della Sonnenhugel” entra in scena delle prime pagine, strappando l’utero di sua madre con le sue grosse, sproporzionate mani: e puntualmente ricompare; è lo stesso van der Jagt a ricordarci che non si cambia, che bambini difficili si nasce e lo si resta per l’intera vita, lo si voglia o no.

L’ironia stralunata, che avevamo definito “disperata” in occasione di Storia della mia calvizie, si tinge qui di note ben più tetre. Se l’intera narrazione può essere letta in negativo, e diventare una paurosa escursione nel dolore e nell’assurdità del mondo, allora Gstaad rappresenta una feroce, incredibile ironia. Ma c’è altro e di più.

E sono le ultime pagine, le pagine della “febbre”: «A chi mi chiede che cosa sia la vita do una risposta concisa: la vita è febbre».
Cioè l’amore, la sua scoperta. Un sentimento appena paragonabile all’amore, ché il suo oggetto è qualcosa di inamabile. Per tramite di questa febbre, che nel mondo in positivo non si può chiamare amore, le ultime pagine sono macchiate di una tenerezza che lascia turbati e senza parole.

Nella auto-autopsia che il narratore mette in scena noi impersoniamo le sue mani; quelle mani grosse e sgraziate che, lo si voglia o no, vengono immerse sempre più a fondo, atterrite e partecipi.

Marek van der Jagt è lo pseudonimo di Arnon Grunberg, scrittore olandese autore di Lunedì blu (Mondadori, 1996), Comparse (Mondadori, 2000), Dolore fantasma (Instar Libri, 2004) e De Asielzoeker (Il rifugiato, di prossima pubblicazione presso Instar Libri). Sotto il nome di van der Jagt ha firmato Storia della mia calvizie (Instar Libri, 2003).

Link correlati:

• Vai alla recensione di Storia della mia calvizie di Marek van der Jagt

Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento!

«

»