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cultura dell'immagine e della parola

Modo partecipativo/interattivo

Dziga VertovLa ricerca sociale ha proposto un metodo di studio sul campo definito Osservazione Partecipante; questo sistema richiede al ricercatore di entrare direttamente a contatto con la realtà che intende osservare, per vivere un periodo della propria vita a stretto contatto con essa, per poterla conoscere dall’interno dopo essere stato accettato dalla comunità di riferimento, si essa una gang malavitosa che una classe di bambini di un asilo. Il coinvolgimento personale deve essere quindi molto alto, l’esperienza deve essere in grado di produrre forti sentimenti di identificazione e di partecipazione sociale nei confronti del gruppo sociale di appartenenza. Gli stessi principi di osservazione sono stati applicati da registi di documentari, che attraverso i loro film hanno cercato di esprimere il senso profondo delle proprie esperienze.
Un documentario partecipativo testimonia una parte del mondo storico attraverso l’interazione prodotta dall’esperienza del filmmaker, sebbene a volte si sia posto solo come osservatore non intrusivo, e il suo soggetto, ma comunque ha sempre avuto una parte nella storia. La presenza fisica dell’individuo infatti colloca il film, in modo più esplicito, “sulla scena”, come se il filmmaker fosse un simulacro dello spettatore trasportato sul luogo dell’evento.
I primi esempi di questa modalità possono essere fatti risalire al sovietico Dziga Vertov. Il suo lungometraggio _elovek s kinoapparatom (L’uomo con la macchina da presa, 1929) e i cinegiornali della Kino-Pravda anticipano lo spirito dei documentaristi che hanno, negli anni Sessanta, utilizzato sistematicamente questa modalità. A differenza del modo osservativo, viene attribuita grande importanza alla funzione delle interviste, mezzi capaci di mettere in luce aspetti e punti di vista differenti di una stessa storia. L’intervista ha inoltre un carattere persuasivo, una capacità performativa che può stimolare il soggetto intervistato a un “far fare” qualcosa.
In Roger & Me, Michael Moore dichiara che il suo scopo perfomativo sia ottenibile attraverso un’incontro con Roger Smith, manager della casa automobilistica General Motors, che con il trasferimento di un enorme stabilimento produttivo in Messico ha gettato sul lastrico l’intera Flint, città natale del regista, nel tentativo estremo di convincerlo a ricredersi sulle proprie decisioni. In questo caso Moore ha un esplicito intento performativo che ricerca mettendo in gioco se stesso come documentarista, ma anche come cittadino di Flint.

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