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Atto di fede

Atto di fede

Resta sul razionale. È ciò che Clarence suggerisce a David prima di affrontare il governatore del Texas in un dibattito sulla pena di morte. David ne uscirà perdente proprio perché, travolto dall’ira, non riuscirà a dimostrare freddamente, (sil)logicamente, che il sistema della pena capitale è fallace perché manda a morte degli innocenti.
La vita e la morte di David Gale (e lo stesso film) possono essere letti in questo senso: il tentativo di dimostrare una tesi, razionalmente. David Gale progetta una macchina perfetta: costruisce un mistero, poi chiama Bitsey a risolverlo. Bitsey (e lo spettatore) ricompone i pezzi del puzzle, le frasi del sillogismo. A questo punto la tesi è stata dimostrata: il sistema è fallace, ha mandato a morte un innocente.
La ricostruzione del mistero è il cuore narrativo del film e prevarica l’intento di denuncia sociale. La descrizione del sistema carcerario, i dati sui tassi di criminalità, i costi del braccio della morte, le diverse posizioni sulla pena capitale sono solo delle parentesi enunciative che si perdono nelle pieghe dell’intreccio, sempre più serrato. È come se il film si articolasse su due piani differenti: a livello enunciativo, della razionalità, del logos, Parker accusa la pena di morte e ne mostra alcune contraddizioni, ma a livello emotivo lo spettatore è coinvolto nel giallo, nel mistero, nella suspence che accompagna la corsa contro il tempo di Bitsey. Ciò che colpisce lo spettatore non è tanto la legittimità o meno della pena di morte, quanto il modo per dimostrarne l’illegittimità. Ed è un modo che presenta una contraddizione interna: afferma il principio della vita attraverso la morte di due persone.
La tesi proposta –il sistema fallisce perché manda a morte degli innocenti- è limitativa, perché riconduce il problema della pena di morte alla condizione di innocenza o di colpevolezza dell’uomo (ma forse la cultura americana riesce a parlare della pena di morte solo in questi termini). Non riesce ad affermare il diritto alla vita tout cours, in maniera assoluta. Il sistema è scorretto non perché manca di rispetto alla vita umana e si arroga il diritto di stabilire chi è degno di vivere e chi meno, ma perché punisce chi non è colpevole. Ed è una tesi che, come tutto il film, spiega l’irrazionalità della pena di morte. Non suscita rabbia. Non indigna.
Forse la pena di morte dovrebbe indignare, prima che far scattare considerazioni sulla sua opportunità. Forse il diritto alla vita dovrebbe essere un assioma, un atto di fede prima che di raziocinio.

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