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cultura dell'immagine e della parola

Un nodo in più

Il dottor Ingravallo –“non sono dottore!”, ripete a quanti lo titolano in tal modo – nel 1959 assume il fisico e il volto di Pietro Germi.Pietro Germi Quel molisano “…di statura media, piuttosto rotondo della persona, o forse un po’ tozzo…” , fornito di chioma-casco, corvina lanugine delle assolate latitudini, che s’intuisce di ovina consistenza al solo esame visivo, quest’uomo, diciamo, di discreta presenza, si incarna nella figura di Germi, nelle sue spalle quadre. La prestanza deve dunque ricercare la sua origine nel baffo nero, nella nera capigliatura; quest’ultima, tuttavia, non viene fuori “[…] dalla metà della fronte quasi a riparagli i due bernoccoli metafisici del bel sole d’Italia, […]”; è un’attaccatura del cuoio nella norma.
Germi, d’altronde, brutto non poteva farsi.
Quello è Ingravallo? Lo avevamo immaginato diverso.
Sarà invece proprio lui a non farci dimenticare come Carlo Emilio Gadda, (“ingegnere nevrastenico”, come lui stesso si definisce); primamente lo concepì.

Roma: in un ricco appartamento avviene un furto. L’indagine è affidata all’ispettor Ingravallo, squadra speciale. Dopo poco tempo viene commesso un delitto, nello stesso stabile: nell’appartamento di fronte a quello in cui è avvenuto il furto. La signora Liliana Balducci viene trovata con la gola squarciata. Ingravallo aveva conosciuto la donna: forse ne era un po’ innamorato. I due crimini sono probabilmente collegati. Inizia la doppia indagine.

Due anni dopo la pubblicazione in volume di “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”, Pietro Germi decide di trarne un film. Una scelta coraggiosa, nonostante il successo ottenuto dal libro e le polemiche tra sostenitori e detrattori che seguirono la sua apparizione. Come rendere la multiforme lingua del Pasticciaccio? Quel ribollire di romanesco, molisano, napoletano, veneto, che si fonde e cristallizza insieme con la ricercatezza letteraria e i neologismi, l’elaborazione e l’argutezza. Germi taglia la testa al toro: tutti i personaggi nel suo Un maledetto imbroglio parlano un italiano medio, qua e là solo affiora una cadenza, un accento. Il napoletano melodioso e incantatore del dottor Fumi, ad esempio, tanto celebrato dal narratore del Pasticciaccio, si lascia intuire solo in un paio di casi, come se l’attore che interpreta il collega di Ingravallo, Peppino de Martino, se lo sia lasciato scappare.

Decisione coraggiosa, dunque: trarre un film poliziesco da un romanzo che di poliziesco ha solo l’ossatura. E che è incompiuto: del Pasticciaccio non conosceremo mai il colpevole. Come le altre opere dello scrittore milanese, quest’opera ritrae una realtà molteplice, aggrovigliata, un campo di forze contrastanti che lacera il tessuto logico degli avvenimenti. Come dare finale a un garbuglio tale? L’indagine dell’Ingravallo cartaceo invece di chiarire gli avvenimenti li confonde, scopre sempre nuovi elementi, nuovi attori. Ecco perché, in molti punti, le vicende del film si discostano da quelle raccontate da Gadda: a Germi è stato necessario porre gli elementi per realizzare un finale plausibile.

Sempre complessa è, tuttavia, la vicenda. “Un maledetto imbroglio” è un ottimo “giallo”, che ha poco da invidiare ai grandi noir americani degli anni precedenti. Anche Germi/Ingravallo è un “duro”: pieno d’umanità, però. Ha un’eterna fidanzata che non riesce mai a vedere, Paola (neanche noi la vedremo): questa relazione ricorda tanto quella tra l’ispettore Ginko e la duchessa Altea, che appariranno negli albi di “Diabolik” di lì a un paio d’anni; e chissà, forse le sorelle Giussani, ideando il loro meraviglioso fumetto, si sono ispirate al burbero ispettore molisano rielaborato da Germi. Infatti questo Ingravallo visitatore dell’universo femminile è un’idea degli sceneggiatori del film: nel romanzo l’ispettore sussulta e s’immalinconisce, di fronte alla bellezza femminile, ma ne rimane estraneo, come dolente osservatore.
Ma a parte queste differenze, è proprio nel personaggio di Ingravallo che il legame con il romanzo resta saldo. I fatti narrati nel romanzo hanno luogo nella Roma del 1927, in piena età fascista; Germi preferisce inserire la vicenda nella contemporaneità del boom economico. Gadda infarcisce il romanzo di critiche verso quel regime, e di insulti al suo capo, alcuni irresistibili nella loro virulenza: “smargiasso impestato”, ad esempio, oppure, su tutti, perentorio: “il Merda”. In particolare l’ingegnere milanese se la prende con il culto fascista della virilità e della “potenza” dell’italico maschio: ecco dunque spiegato il risentimento di Ingravallo verso certi uomini, i quali traggono vantaggio dal proprio “saperci fare” con le donne: il viscido Massimo Valdarena, cugino dell’assassinata, ne è forse l’emblema. Anche il protagonista germiano del resto non ha alcuna ammirazione per tale specie di uomo.

Nel romanzo il disgusto di Ingravallo è più sottile; il biasimo si mescola con l’invidia per chi ha tanto facilmente accesso al “paradiso proibito” delle donne: inaccessibile, o quasi, per uomini del suo stampo. E’ l’invidia del riservato verso il gigione: occhi bassi contro occhi da triglia. – Mai come loro, per tutto l’oro del mondo! Eppure…

L’Ingravallo di Germi è più infastidito dalla pochezza morale, il suo disprezzo s’indirizza verso le “scappatelle” degli uomini sposati, comunemente cosiderate normali; verso le squallide tresche amorose che scopre col procedere delle indagini. I due ceffoni che tira al marito fedifrago della Balducci e al di lei cugino piacione sono memorabili: “Non si può!” lo redarguiscono i colleghi; “Scusate, è una questione privata.” È la risposta.
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Mentre il libro termina consegnandoci per l’eternità un Ingravallo nel mezzo di una sfuriata (ma già iniziatosi a pentire per essa); senza che un bandolo si sia trovato di questa matassa brutta, Un maledetto imbroglio ha una fine, deve averla: il cinema la richiede. Ma gli occhi malinconici di Germi/Ingravallo, a indagine conclusa, rivelano ugualmente la consapevolezza che gli infuse il suo primo Creatore, quel Carlo Emilio: che ogni cosa, dolore, gioia, amore, morte, risponde unicamente, tragicamente al solo aggrovigliarsi dei fili tesi a caso nell’universo.

Un maledetto imbroglio, regia di Pietro Germi, 1959
Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, romanzo di Carlo Emilio Gadda, Garzanti editore

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