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Cinema (in)dipendente? Sì, grazie!

Incominciamo con il Torino Film Festival?

Bruno Fornara Sì, diciamo che prima di tutto quest’anno la scelta dei film è stata molto buona, in particolar modo per ciò che concerne il concorso. Il problema è stata la collocazione del Lingotto. Il decentramento dal cuore della città, ha quindi deviato un po’ la connotazione spazio temporale che da sempre caratterizza questa manifestazione. Torino ha sempre avuto un bel festival, ma così sembra non essere più “suo”. Il Lingotto Pathè è un centro commerciale molto asettico, standard, che potrebbe esistere a Torino come a Los Angeles, come a Parigi. D’altra parte, c’è stato un guadagno sotto il profilo meramente tecnico, con ben 11 sale a disposizione e quasi 50 proiezioni al giorno.

Cos’è stato e cosa è attualmente il Torino Film Festival, cioè cosa lo distingue da altre manifestazioni europee simili ?

Sicuramente l’obiettivo principe è sempre stato quello di promuovere un cinema giovane, fatto da giovani autori, con giovani protagonisti, affiancato da un cinema magari datato, ma ancora attuale, immortale. Quindi cinema indipendente. Ecco perché fare una retrospettiva su John Ford e avere contemporaneamente in visione il nuovo lavoro di Roger Avary, “The Rules of Attraction”, ad esempio. Quest’anno, in particolar modo, si è voluto dare prestigio al cosiddetto ”cinema marginale” cioè dare spazio a quegli autori, grandissimi come John Milius, sempre tenuti in disparte per le loro scelte politiche o ideologiche. Nel cinema marginale abbiamo incluso non solo autori diciamo di serie A, cioè cinema intellettuale o d’essai, ma anche cinema ritenuto d’essai in quanto b-movies.
Satin Rouge
Abbiamo ricercato il netto contrasto tra cinema di ricerca e cinema popolare, dal denominatore comune di essere sempre stati sottovalutati dal pubblico e dalla critica.

Ecco, quindi, il restauro di ”Non si sevizia un paperino” con Barbara Bouchet in sala a presenziare e “La morte corre sul fiume” in proiezione in un’altra sala.

Io, personalmente, ho trovato un grande regista nel misconosciuto Fessenden. Secondo lei, da questa rassegna, sono apparsi filmakers che in futuro potranno dare molto alla settima arte?

Fitoussis, che è stato molto criticato qui al Festival per il suo lavoro particolarmente filosofico-intellettualistico, specie nel suo Paese, la Francia, secondo me, avrà gran riscontro specie di critica, anche perché da loro il cinema funziona diversamente: ci sono finanziamenti e c’è un livello di preparazione cinematografica molto elevata. Sicuramente, anche la regista di ”Satin Rouge”, il film franco-tunisino che ha vinto il concorso lungometraggi, e “Hukkle” questo film ungherese, senza parole, fatto praticamente di un rap di sensazioni, rumori e immagini, rappresentano qualcosa di molto importante nel panorama attuale.

A proposito di cinema indipendente, marginale, cosa pensa di Harmony Corinne, di cui “Hideout” curerà uno speciale nel prossimo numero?

Bè, vi faccio già i miei complimenti, allora. Lui non è nient’altro di diverso da ciò che ti puoi immaginare. L’artista maledetto per antonomasia. Capelli marci, ubriaco, drogato, alle conferenze manda a quel paese chiunque. Ma non è stupido. Gioca molto su questo personaggio. Io, infatti, gli ho fatto una domanda precisa su un riferimento diciamo “colto” che si trova in ”Julien Donkey Boy” e lui si è stupito della cosa e mi ha spiegato con grande professionalità il perché della sua scelta. Insomma, è uno che fa molto il giovane dannato, ma ha due palle sotto e una cultura incredibile, spropositata, per un ragazzo di 25 anni. E’ molto cosciente di quello che fa e del mezzo con cui deve rapportarsi. Ne ha gran rispetto, ma corre il rischio, se continua così, di autodistruggersi. Capiscimi, uno che cerca sempre di portare le situazioni, non solo nei film ma anche nella vita, fino alle estreme conseguenze, fino a vederle scoppiare, può veramente perdersi totalmente, tutto pur di rimanere fedele al ruolo che si è costruito o che, forse, ha sempre avuto.Hukkle

E la situazione del cinema indipendente italiano e quella più generale delle produzioni e dei registi nostrani?

Ci sono vari problemi e alcune distinzioni da fare. Prima di tutto l’Italia non riesce a far uscire grandi film da pubblico. I vari Aldo, Giovanni e Giacomo, Vanzina, Benigni, non riescono a uscire da quella nicchia di comicità , di commedia “piccola” che non avrà mai la potenza, visiva e narrativa, non so, di un”Titanic” di Cameron, film molto commerciale, molto di pubblico, ma con dietro un lavoro mica da ridere.

Vicino a loro, ci sono pochi registi-autori, che fanno buoni film, non di pubblico, ma che hanno trovato un loro pubblico, vedi Mazzacurati, Moretti, Soldini e, ormai una garanzia dopo il suo ultimo film, Matteo Garrone. Troppo sottovalutati, ci sono vicino a loro altri registi geniali che fanno perle di cinema, ma nessuno li guarda, come Martone o il Capuano di ”Luna Rossa”.

Il casino è che loro sono un po’ pazzi e non sia cosa aspettarsi in futuro da gente così.

I giovani più promettenti, quelli che lavorano low-budget per intenderci, quelli da tenere sott’occhio sono Sorrentino, da vedere assolutamente “L’uomo in più”, Vincenzo Marra con ”Tornando a casa” e la DeLillo, lei lavora già da un po’, di “Non è giusto”.

Parlando del Festival di Venezia, investito da una bufera politica di cui lei si è trovato involontario protagonista, cosa pensa dei film proposti? Quali che non c’erano avrebbe voluto vedere e quali sono stati inadeguati per una rassegna così importante?
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Credo che il grande problema sia sempre quello che, oltre al fatto che alcuni film devono esserci per forza, perché un Kitano se vuol venire non puoi certo dirgli di no, l’importante, siamo sempre lì, sia portare buoni film, fatti bene, fatti per il pubblico. Film per il pubblico ce n’erano, ma alcuni erano orribili, improponibili. I due tedeschi erano inguardabili e “Il bacio dell’orso” era veramente pessimo! Avrei visto sicuramente bene il vincitore di questo Torino Film Festival “Satin Rouge” e anche “Hukkle” quello ungherese che, oltretutto, era già stato presentato al Festival di Budapest. Non capisco perché non sia stato selezionato e siano state scelte quelle due mostruosità tedesche. Non capisco. O, forse, l’ho capito.

Ultima domanda: lei ha visto il nostro sito Hideout. Cosa pensa di una proposta alternativa come la nostra, cioè poter dare la possibilità di tenere informato il pubblico cinematografico anche su film che lei stesso ha definito di “cinema marginale” o che magari durano solo tre giorni, ma meritano assolutamente di essere visti?

Oltre a essere ben curato, il sito di per sé, credo che, in generale, la proposta sia molto intelligente e interessante, specie per chi s’è un po’ stancato di andare al cinema a vedere cattivi film con una distribuzione comunque mastodontica. Ma il dramma di Internet sai qual è però? Servirebbe una guida specializzata dove stiano tutti i siti esistenti al mondo su quel determinato argomento, perché l’oceano virtuale è talmente vasto che io, ad esempio, con il poco tempo che ho, vado su quei 4-5 siti che conosco, perché scrivo per loro o su quelli che hanno informazioni utili solo per me che sono del settore. Ora, venire a conoscenza di una rivista specializzata come la vostra, è una cosa che mi fa molto piacere, e in futuro, forse, mi aiuterà consultarla. La cosa migliore, ripeto, sarebbe, però, riuscire a trovare un modo, un metodo per mettere a conoscenza tutti quanti di iniziative come la vostra.

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