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La fragilità del genio

La fragilità del genio

Nel corso dell’appena concluso ventesimo secolo milioni di cittadini si sono trovati a dovere vivere sotto il giogo della dittatura. Nazismo, fascismo, stalinismo, regimi militari, tutti questi fenomeni hanno represso ogni eventuale dissenso, ma hanno anche avuto l’appoggio di milioni di persone. Si dice che in Germania pochi sapessero cosa stesse avvenendo all’interno dei campi di concentramento, durante gli anni dell’Olocausto; e i bagni di folla tributati a Hitler non fanno pensare ad un entusiasmo di sola facciata. Certo chi dissentiva aveva due sole strade di fronte a sé: o piegarsi e sottostare al potere o alzare la testa e andare incontro al proprio destino. Quesito grave, drammatico già per l’uomo comune: tragico per l’intellettuale e l’uomo “di genio”. L’arte ha valore solo per sé stessa o ha anche un ruolo civile? L’artista deve rispondere di quello che fa solo alla Musa o all’umanità intera?
Wilhelm Furtwängler fu probabilmente il più grande direttore d’orchestra del secolo scorso. Operò in Germania, durante gli anni del regime nazista; universalmente ritenuto un genio, fu in contatto con i maggiori gerarchi, da Goebbels a Göring, e fu esibito da questi ultimi come il fiore all’occhiello del terzo Reich.
Si dice però che egli avversasse in cuor suo il nazismo; pare infatti abbia salvato molti ebrei, destinati a vivere perché musicisti di valore.
“A torto o a ragione” è in sostanza il racconto di ciò che avvenne dopo la fine della guerra: Furtwängler, sospettato da i nuovi occupanti Alleati di collusioni col Nazismo, venne per questo indagato e processato da un tribunale internazionale. Il film, tratto da un’opera teatrale, mette a confronto in tre diversi interrogatori un rozzo maggiore americano, interpretato da un Harvey Keitel un po’ sopra le righe, e il musicista tedesco, che ha il volto dolente di Stellan Skarsgard.
Il maggiore, ex impiegato di una società assicurativa, non sa niente di Furtwängler, né è particolarmente sensibile al fascino della musica; egli conosce tuttavia ciò che i nazisti fecero agli ebrei pochi anni prima, e il suo sdegno verso chi poteva sapere ma ha taciuto è senza limiti. Se è vero che herr professor odiava Hitler e nazisti, come egli stesso afferma e come diversi suoi musicisti confermano, perché ha accettato di far suonare la sua orchestra in occasione dei festeggiamenti per il compleanno del führer? Perché non ha lasciato la Germania nel ’34, come la maggior parte degli artisti e degli intellettuali? Perché ha deciso di restare e di diventare in un certo modo un’ icona del regime?
Furtwängler risponde: perché la Germania è il mio paese, perché come musicista il mio dovere è di elevare il popolo tedesco in maniera spirituale, che niente ha a che fare con il mondo circostante. Motivazioni queste che per il maggiore lasciano il tempo che trovano.
Questo fragile uomo di genio, nonostante il suo disprezzo verso il nazismo, non ha trovato altra soluzione che chiudersi a chiave nelle sue stanze, in compagnia di Brahms, Beethoven, Schubert, e di assistere dalle finestre alla rovina della sua Germania, l’impero inquieto.
Egli, per difendersi dalla tempesta di accuse che l’inquirente-inquisitore americano scaglia su di lui, afferma: “Nessuno in questo paese sapeva cosa stesse succedendo realmente”; la pronta ribattuta dell’interlocutore: “Allora perché tutti si preoccupavano di far fuggire gli ebrei?” lo lascia però incapace di dare alcuna risposta.
Che Furtwängler sia rimasto in patria per non lasciare il campo al suo grande rivale, il giovane e promettente Von Karajan, e impedirgli prendere il suo posto sul trono musicale tedesco?
Questo genio insicuro rivela in tal modo di non essere dispensato dalle debolezze che costituiscono l’inevitabile corredo di ogni essere umano; la sua volontà di affermare la propria libertà attraverso l’arte è annientata da un vizio molto umano: l’invidia.
Nonostante queste debolezze il genio del maestro non può essere messo in discussione: ne sono coscienti i due giovani collaboratori del maggiore, dei quali uno è addirittura ebreo; entrambi, sensibili e amanti della musica, restano pur sempre grati nei confronti di Furtwängler, per ciò che egli ha dato loro, per ciò che ha detto e fatto non con gesti concreti o parole, ma con la musica.
La visione manicheista del rozzo maggiore inchioderà il musicista alle proprie responsabilità; se pure egli, come avvenne realmente, verrà assolto al momento del processo, in fondo al suo cuore non potrà non condannarsi finché avrà vita per quella stretta di mano data a Hitler, al termine del concerto per il suo compleanno.

Note: Presentato al Festival di Toronto 2001. Presente al Festival di Berlino 2002 come “Evento Speciale”. Realizzato con il sostegno del Programma Media dell’Unione Europea.

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