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cultura dell'immagine e della parola

Cannes
20 maggio

Clint Eastwood e Angelina Jolie durante il photocall per ChangelingOggi alla Croisette approda Clint Eastwood con il suo ultimo (in ordine cronologico) capolavoro, Changeling. Los Angeles, 1928: Christine è una centralinista telefonica, una di quelle impiegate che collegano i fili del telefono che si vedono in tanti film d’epoca. E in effetti Changeling sembra proprio giocare con l’impressione di rievocazione del cinema dell’epoca d’oro hollywoodiana. Inizia in bianco e nero che poi vira al colore, ma si tratta di tonalità spente, che danno un senso “vintage“. Ma ben presto Eastwood toglie il coperchio e fa uscire i fantasmi, gli incubi della società americana, con un’operazione simile a quella di Chinatown (1974) di Roman Polanski, condotta però non da che conosce l’America profonda fin nel midollo. Il piccolo figlio di Christine sembra essere scomparso nel nulla finché non viene ritrovato dalla polizia. Ma è davvero lui o un sosia tirato fuori dalle forze dell’ordine che non sanno che pesci pigliare? Il tema dell’infanzia violata, quello della corruzione dominante nelle istituzioni: tutto l’Eastwood di Mystic River (2003) sembra ritornare. Ma rispetto a quell’opera, con quello straordinario finale della sfilata che faceva piazza pulita di ogni possibile consolazione residua, Changeling sembra partire da una visione più positiva del mondo. A ben guardare si tratta solo di un’apparenza e viene il dubbio che le figure positive della storia agiscano in realtà con finalità abiette. Come non pensare che il reverendo, l’eroe della storia, sia mosso da un sacro fuoco di moralizzatore integralista? E le autorità che si muovono solo per finalità elettorali? Eastwood regala ancora una pietra miliare del cinema contemporaneo, un film che si snoda per successivi ribaltamenti della situazione, e del giudizio morale che ne scaturisce, con una narrazione classica, dal respiro epico.

Un vero gioiellino si è visto ieri nella sezione Un certain regard, il documentario La vie moderne del grande cineasta, e fotografo, Raymond Depardon. Protagonisti i contadini di una particolare zona dell’Occitania che il regista ritrae nella loro vita quotidiana e intervista. Stupisce vedere un documentario girato in 35 mm: Depardon riesce a cogliere i volti segnati e autentici dei paesani e la particolare luminosità di quella terra, cui si aggiunge il lavoro meticoloso di registrazione dei suoni naturali. Un mondo incontaminato, lontano anni luce dalla società urbana, che viene catturato nella sua essenza più utentica.

Anche Cannes omaggia “o’ maestro”, il vegliardo Manoel de Oliveira che si appresta a soffiare 100 candeline della torta di complenno! In una cerimonia pomposissima svoltasi ieri, alla presenza di autorità, ministri francesi e portoghesi, registi e attori come Michel Piccoli, gli è stata consegnata la Palma d’Oro alla Carriera. Non essendogli venuto meno il senso dell’ironia ha iniziato il suo discorso dicendo “Finalmente ho vinto anch’io una Palma d’Oro!” Ha poi proseguito citando una frase di Fellini riferita ai produttori :”Noi produciamo gli aeroplani ma abbiamo bisogno di aeroporti”. Per l’immortale regista portoghese sono proprio i festival a costituire gli aeroporti.
È seguita la proiezione del primo film di De Oliveira, un film muto, Douro, Faina Fluvial (1931), sulla vita che gira attorno al fiume portoghese Douro.

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