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Curre curre, guagliò

Curre curre, guagliò

Il confine tra leggerezza e inconsistenza è labile, molto, troppo per costruirci su un film, anche se ha la sola pretesa di divertire e intrattenere: può darsi che Alessandro Siani ne sia cosciente, ma questo non gli ha impedito di fare il mattatore in un film che ha il respiro corto. Bisogna sottolineare, a merito della pellicola, che quella messa in scena è un tipo di comicità per nulla volgare, misurata nel linguaggio, nella gestualità e nelle intenzioni, a differenza di ciò che spesso occupa i grandi schermi italiani. Tuttavia, da qui a essere una comicità intelligente parecchio ci manca.

Partendo da una trama di base non particolarmente fantasiosa – lui ama lei che sta con un altro ma alla fine cede – gli espedienti utilizzati per suscitare la risata hanno il grosso difetto di appartenere tutti a clichè codificati: come nelle barzellette con “un italiano, un inglese e un francese”, anche qui tutto si gioca sul terreno del particolarismo (i milanesi lavorano sempre e sono sempre puntuali, ma dai?) e, ovviamente, sull’orizzonte lungo della napoletanità, che fornisce spunti stanchi e battute formalizzate da una tradizione centenaria. E’ soprattutto un modus ridendi quello che pervade il film, un atteggiamento che non si solleva dallo stereotipo, né nel clima generale del film (ambientato in una Napoli farlocca) né riguardo ai personaggi, piccoli piccoli e privi di spessore. A cominciare dal protagonista, il prototipo del bravo guaglione che sbaraglia il rivale, umanamente più simpatico e in fin dei conti più affascinante: potere dello spirito partenopeo, non viene in mente nient’altro, se alla fine l’improbabile avvocatessa/ragazza madre Elisabetta Canalis (mai in vesti così castigate) si getta nelle braccia del simpatico agente immobiliare.

Parlare di regia sarebbe fuori luogo, ci limitiamo a segnalare che le riprese sono state dirette da Francesco Ranieri Martinotti, ex giovane promettente che vanta collaborazioni di tutto rispetto e che aveva già diretto il debutto di Siani (Ti lascio perché ti amo troppo – 2006). Ridicola, a dir poco, la parte riservata alla parentela acquisita del protagonista, con le macchiette dello zio prelato e dei genitori bigotti del futuro cognato.
Siani si è detto contento di aver fatto un prodotto onesto: l’onestà non la mettiamo in dubbio, ma (onestamente) non basta.

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