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War Horse: l’eleganza del cavallo

L’eleganza del cavallo

Chi altri, meglio di Spielberg, avrebbe potuto tradurre per il grande schermo l’avventura di un purosangue ricavandone una storia epica? Sicuramente una bella sfida anche per il creatore di E.T., visti i rischi in cui avrebbe potuto incorrere: dallo scadere in un film per bambini, con un cavallo al posto del noto mulo parlante Francis, o peggio ancora, in un ridicolo melò che narra un amore “umano-equino”. Invece in War Horse troviamo tutto il cinema dello Spielberg di sempre, la sua inimitabile cifra stilistica. Parliamo dell’incrollabile fiducia e speranza nell’avvenire, di quel sano ottimismo che spinge ad andare avanti, ma anche dell’attenzione alla fondamentale empatia che esiste tra esseri umani divisi tra di loro da barriere nazionali o sociali (nemici in battaglia o esponenti di ceti opposti) e perché no, anche tra l’uomo e il mondo animale, che parrebbe poter insegnare valori genuini a un’umanità ormai logorata dall’azione calcolatrice della ragione (che dovrebbe invece elevarla a un rango superiore rispetto alle bestie). La Prima Guerra Mondiale è il contesto e il correlativo oggettivo del deperimento della ragionevolezza umana, un campo minato senza regole definite, in cui i soldati combattono perché ordinati a farlo, tant’è che poi, ritrovatisi a tu per tu con il nemico, capiscono che quella guerra è solo un gioco in cui gli sconfitti restano uccisi.

War Horse, che nasce dalla versione teatrale del romanzo di Michael Morpurgo, vuole essere anche una celebrazione di grandi film del passato, da Via col vento (Gone with the Wind, 1939), inconfondibile nell’inquadratura finale al tramonto, a Un uomo tranquillo (The Quiet Man, 1952) che già riecheggia nelle sequenze iniziali per la fotografia e la composizione delle scene in campagna. La storia è suddivisa in blocchi, ciascuno dominato da un personaggio che identifica un quadro di vita durante il conflitto del ‘15-18: dal capitano della fanteria inglese, ai soldati semplici tedeschi (doppiati, ahimè, con un accento da film comico), alla ragazzina della campagna francese, tutti uniti dal fil rouge rappresentato da Joey stesso, il cavallo protagonista, filo conduttore di una vicenda storica che ha toccato tutti nel vivo e di cui Spielberg evidenzia soprattutto il lato emotivo e umano. La sequenza in cui Joey si ribella allo sfacelo morale a cui la guerra ha condotto l’umanità, galoppando impazzito tra le trincee e il filo spinato, è la scena madre del film, quella che va dritto al cuore dello spettatore, commuovendolo e facendogli apprezzare per l’ennesima volta l’alta dose di umanità racchiusa in ciascun lungometraggio del regista. E come in tutta la sua filmografia, le lacrime diventano segno catartico che preannuncia un happy ending generoso e pieno di fiducia nell’avvenire.

Non sarà certo il migliore film di Spielberg, ma War Horse riesce senza dubbio a emozionare, senza che le tematiche e la forma ampiamente collaudate lo riducano ad un esercizio di stile inutile e ripetitivo.

Curiosità
War Horse è il primo film si Spielberg montato digitalmente. Tutti gli altri film del regista sono stati montati con la tradizionale moviola.

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