I soliti idioti – Il film: il solito nulla
Il 2011 è stato l’anno del passaggio su grande schermo di due delle serie televisive italiane più amate: Boris e ora I soliti idioti. Ma la differenza tra i due prodotti è palese e quasi imbarazzante per la propria radicalità evidente. Il film di Enrico Lando sta esattamente agli antipodi rispetto al geniale lavoro del trio Vendruscolo-Torre-Ciarrapico; il riferimento ai classici della commedia all’italiana resta solo sulla carta dei pressbook o delle dichiarazioni stampa, ma in realtà il modello de I soliti idioti pare essere la commediaccia reazionaria anni Ottanta che continua a imperversare ancora oggi tra Natali itineranti e grossolani matrimoni.
Mentre Boris è caustico, graffiante e si muove in perfetto equilibrio tra commedia e tragedia (vero elemento identificativo della commedia all’italiana che fa del dramma un elemento essenziale e fondante del proprio essere), I soliti idioti è un prodotto che fa della volgarità gratuita il proprio deus ex machina e privo di una costruzione drammaturgica forte. Le gag si accumulano sorrette da un esilissimo filo narrativo e sono sempre in bilico fra il triviale e il già visto, e certi dialoghi sembrano uno scarto da copioni di quart’ordine di uno dei peggiori spettacoli del Bagaglino. Scurrile e orgoglioso di esserlo, il film non riesce mai a essere incisivo, pungente e il suo senso critico pare più che altro un compiaciuto ripiegamento su ciò che vorrebbe denunciare: i personaggi che vedrete sono degli idioti, dei cialtroni, i peggiori esempi della italianità nella sua accezione peggiore… però, tutto sommato, non sono poi tanto male. È questa indulgenza a infastidire ancor di più, infatti la patina political uncorrect del film rimane molto superficiale, dichiarata aprioristicamente con orgoglio ma mai realmente efficace nella trasposizione filmica. Tra imbarazzanti stacchetti musicali, macchiette (in)degne di uno sketch mal riuscito della Premiata Ditta (cioè il gruppo comico meno divertente della storia dell’umanità), stereotipi retaggio di un conservatorismo ostentato e compiaciuto, una menzione d’onore la meritano i due protagonisti: semplicemente insopportabili.
Francesco Mandelli e Fabrizio Biggio oltre a una congenita antipatia riescono a irritare ulteriormente per la loro supponenza attoriale e la loro incapacità di suscitare anche solo un accenno di sorriso in uno spettatore affetto da risata compulsiva. Recitazione e tempi comici sono di una sciatteria che rasenta il sadismo: per fortuna lo strazio dura solo ottantanove minuti, al termine dei quali si accendono le luci in sala e viene in mente come l’epiteto fantozziano affibbiato a La corazzata Potionkin sia perfettamente calzante per questo ennesimo buco nell’acqua del cinema comico italiano.
A cura di Marco Valerio
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