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Quando la notte: Manfred, Marina e le bestie nel cuore

Manfred, Marina e le bestie nel cuore

Le implicazioni emotive della maternità, la famiglia come terreno impervio di affetti altalenanti, i cortocircuiti dell’amore (non soltanto sensuale), l’inesausto dissidio tra le convenzioni sociali e la soggettività del desiderio rappresentano la spina dorsale del cinema di Cristina Comencini, e Quando la notte, Bergfilm che, al suo interno, come una scatola cinese, contiene un Kammerspiel intenso e audace, lo comprova.
La montagna, scenario maestoso, esaltato dalla generosità di campi lunghissimi e panoramiche, grida, nel suo silenzio intonso, ossimoro e paradosso, una solitudine inveterata e ineluttabile, la stessa che permea le stanze, fisiche e sentimentali, di Marina e Manfred, alimentando il loro dramma.

Affiancata in fase di sceneggiatura da Doriana Leondeff, sapiente (e storica) collaboratrice di Silvio Soldini, la regista, come nel caso della Bestia nel cuore, traspone un suo romanzo. E proprio dal raffronto con il testo emergono, nella maniera più vivida, i pregi di un film che, non senza sbavature, porta felicemente a compimento la missione prefissa. Nel romanzo, infatti, una narrazione condotta dai monologhi interiori dei due protagonisti “brucia” in poche pagine i loro segreti, svelandoli senza troppo indugio; mentre il film, scandito da un montaggio alternato che conserva la struttura “binaria” del racconto, disegna un movimento di cauta, pudica e, soprattutto, progressiva penetrazione nelle anime piagate di Manfred e Marina, secondo quella poetica di graduale accostamento al personaggio e alle sue ferite di cui la Comencini ha offerto prove mirabili in passato, da Il più bel giorno della mia vita, forse il suo titolo migliore, a La bestia nel cuore, ultima pellicola italiana in lizza per l’Oscar.

L’oscura ambivalenza del sentimento di Marina per il figlioletto, cruccio di una maternità desiderata e respinta al contempo, viene rivelata, a chiare lettere, soltanto nella bella e dolorosa scena in cui Manfred è riverso sul letto di una tetra camera d’ospedale, il momento in cui ogni barriera, tra i due, si infrange. Una scena tanto persuasiva, magistralmente interpretata da Claudia Pandolfi (brava, anzi bravissima, per l’intera durata del film, senza nulla togliere a Filippo Timi), ci lascia forse nel dubbio che la pellicola potesse concludersi così, poiché quanto segue, fedelmente ricalcato sul romanzo, appare come un tentativo forzato di aggiungere ulteriore carne al fuoco.

La comunione dei corpi di Marina e Manfred ci viene proposta con un piglio didascalico che non eguaglia, certo, i tempi sospirati e asimmetrici dell’intersezione delle loro anime. Un appunto andrebbe fatto anche al commento musicale, più adatto a un horror gotico che a un film psicologico così sensibile.
Le virtù, in ogni caso, superano i difetti e Quando la notte, sopite le passioni e raffredati i bollori, finirà per rivelarsi, fra i connazionali in concorso a Venezia, la proposta migliore.

Curiosità
A poco più di un mese dal debutto veneziano, il film, con il titolo anglosassone When the Night, è stato proiettato nella sezione Film on the Square del London Film Festival.

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