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Rosa come i sogni. Come la speranza

Rosa come i sogni. Come la speranza

Se non fosse che la Subaru non ha finanziato minimamente il film, quella di Ogawa Kazuya sarebbe un ottimo esempio di product placement. Tutti i 96 minuti del film, infatti, ruotano attorno alla macchina della casa automobilistica giapponese, che non si limita a comparire sullo schermo, ma lo monopolizza completamente, diventando la protagonista dell’intera trama. In realtà quella che potrebbe sembrare una motivazione a carattere pubblicitario nasconde una causa storica ben precisa: la Subaru è stata la prima casa automobilistica a decidere di sfidare il difficile mercato mediorientale (difficile in quanto terra di perenni conflitti e apparentemente adatta solo al business delle armi) installando le proprie concessionarie d’auto. Per anni, più che una macchina, la Subaru è stata per i residenti in Israele un autentico status symbol e per questo motivo la gioia di Elzober nell’acquistarla assume un significato che va ben oltre la mera soddisfazione dell’avere una macchina. In un contesto ancora molto umile, egli diventa così un uomo che, dopo vent’anni di duro lavoro, può iniziare il suo cammino di riscatto. In una città israeliana egli, arabo, può vantare lo stesso status symbol dei suoi concittadini ebrei. Una condizione che dura, sfortunatamente, ben poco, dato che i ladri infrangono precocemente la realizzazione di questo sogno.

Perché altro non è la Subaru nel film di Ogawa Kazuya: un sogno di riscatto sociale ed economico, un sogno di benessere dopo anni di lavoro, un sogno realizzato. Ovvio che, per aiutare a ritrovare un sogno, servono altri sognatori: ecco dunque che attorno ad Elzober si raccolgono amici, parenti, perfetti sconosciuti, tutti accomunati da un desiderio da realizzare, da un sogno che si vuol far avverare. Aggirandosi per le campagne riarse dal sole di Tulkarem, la patria dei ladri d’auto palestinesi, ognuno di questi personaggi, strampalati, dai tratti “caricati” ed estremizzati come quelli dei manga, troverà ciò che cerca, la propria rosea aspettativa, la propria speranza.

Sicuramente ricco di ingenuità (e di alcuni personaggi decisamente inutili), Pink Subaru rimane un tentativo interessante di narrare una storia divertente, una storia di sogni, in un teatro di guerra, dove la speranza sembra spesso illusione. Una favola nella terra delle favole negate che, nel suo piccolo, dimostra come questi pazzi che corrono dietro ad una macchina, ad un bambino, all’uomo della propria vita siano tanto più belli e “normali” dell’insana realtà che caratterizza Israele e la Palestina.

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