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cultura dell'immagine e della parola

Aspetta e spera
1 settembre 2011

Jodie Foster in una scena di CarnageCi sono lividi e lividi. Carnage, di Polanski è un livido tosto. Uno di quelli che dimenticherò difficilmente e che, anzi, ricorderò con più gusto. Carnage è bomba ad orologeria, marchingegno perfetto, trabocchetto pacifico, palcoscenico di un duello combattuto ad armi pari, all’infinito (mi ha fatto pensare a Nodo alla gola e a Sleuth). Un duello infinito: questo è l’aspetto che mi ha steso. Ko. Anche se la vicenda si chiude con un finale decisamente inaspettato, il duello dei quattro combattenti (all’inizio erano due coppie, alla fine sono quattro individui, ciascuno alle prese con la propria ansia di salvezza) proseguirà fino a chissà quando.

Dalla casa Reilly/Foster il duo Waltz/Winslet non uscirà mai. Da quella trappola a base di dialogo delle ragioni, nessuno può scappare. E nessuno può vincere, nessuno può perdere, nessuno si può salvare. Cast da delirio per le smorfie, i gesti, le occhiatacce, l’eleganza dei movimenti dentro questi spazi così chiusi, così soffocanti, così tragicamente disumani. È la società degli individui quella che viene rappresentata, quella che con l’ipocrisia costruisce gli ideali vantandosi di un qualsiasi oggetto, subendo una mania tra tante, dimenticandosi il valore delle relazioni e delle persone. Carnage è anche il film con la più affascinante vomitata cinematografica (by Kate Winslet), degna del racconto di Stand by me della vendetta vomitevole di “sacco di lardo”. Pure qui Polanski è spietato ma efficace. Si ride tragicamente, con sospiro di sollievo finale.

Il resto della giornata è stato, tutto sommato, positivo. Una manciata di film, diversamente interessanti e diversamente convincenti. Due dalla Settimana della Critica: Stochkolm ostra, di S. K. Da Silva e El campo, di H. Belòn; due dalle Giornate degli Autori: Ruggine, di Daniele Gaglianone e Toutes nos envies, di Philippe Lloret; uno dal Concorso: Un ete brulant, di Philippe Garrel.
Il film di Garrel è insipido, non mi ha nemmeno sfiorato, anche se ammetto una certa iniziale curiosità che poi non è stata ripagata minimamente.

Nella SIC, tra Svezia e Argentina, ho preferito Argentina. Hernan Belon con El campo mette in scena una vicenda insolita e molto accattivante: una coppia decide di cambiare vita e abbandona la città per la campagna. Qui incontra le iniziali difficoltà di integrazione (con le persone e con il luogo) che però in breve tempo si trasformeranno in insormontabili paure e angosce, insidie che destabilizzeranno l’equilibrio famigliare. Le atmosfere e i personaggi non sono banali, il tema è interessante e gli attori funzionano. Il film ha tutto per essere distribuito anche in Italia e non diventare un nuovo disperso.

Le mie attese per i film di Gaglianone e Lloret non sono state del tutto soddisfatte. Ruggine ha molti aspetti interessanti ma subisce la pesantezza di un impianto senza respiro, dove tutto eccede (non solo Timi) coprendo ogni forma di sfumatura.Toutes nos envies, nonostante il tema attualissimo (i debiti e la giustizia) i bravi attori (c’è ancora Vincent Lindon, per me grande) e nonostante la sincerità e il coraggio, il film non riesce ad instaurare lo stesso pathos di Welcome e subisce la linearità della sua struttura.

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