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Tredici assassini più uno

Tredici assassini più uno

Takashi Miike è uno dei cineasti più prolifici in circolazione. Ha alle spalle più di ottanta film a partire dal suo debutto negli anni Novanta. Questa volta si cimenta con un remake dell’omonimo film di Kudo Eichii (1963) realizzando un jidaigeki (film storico di samurai) dai lineamenti classicheggianti (un gruppo di tredici guerrieri alle prese con una missione quasi impossibile per eliminare un crudele feudatario), ma con uno stile potente ed estremamente curato.

L’incipit mette subito in chiaro gli argomenti sui quali il regista insisterà, infatti riprendendo un samurai intento a commettere harakiri (il suicidio rituale), Miike dichiara la volontà di restare fedele alla tradizione, pur mantenendo fede all’amata messa in scena della violenza. E come al solito è la seconda caratteristica ad essere più interessante. Benché la seconda parte del film consista nella narrazione della battaglia finale con tanto di esplosioni e spettacolari duelli di spade, le scene più crude sono quelle in cui la macchina da presa guarda altrove, senza esplicitare sangue o atti cruenti. A Miike non importa comporre sequenze da B movie, a lui interessa scavare in fondo alla violenza senza fermarsi alle comuni scene splatter. Ed è così che il regista rinuncia a mostrare in primo piano la spada che trafigge l’addome del samurai intento a praticare Harakiri ma ci suggerisce l’azione solo tramite il suono e l’espressione del viso del suicida; rinuncia a mostrarci la tortura sul corpo di una donna riprendendone solo le conseguenze. Sembra essere uno spietato calcolatore, il quattordicesimo assassino, che si diverte a martoriare le sue vittime (noi) proprio come i suoi personaggi (buoni e cattivi) che quando si tratta di impugnare le spade vanno dritti all’obiettivo senza alcun ripensamento. Appunto, i personaggi. Il film, in parallelo ad una riflessione sull’estetica della violenza, pone l’attenzione anche sulla violenza dell’essere umano. Il regista scava dentro l’uomo per riflettere anche su questo argomento partendo però da tematiche più universali. Lo stesso Miike ha dichiarato: «Cerco sempre di trovare dei temi universali quando faccio un film jidaigeki. L’amore genera vendetta e la giustizia genera violenza».

Tutto questo riuscendo costruendo un film solido e calibrato, inserendo al momento giusto anche momenti più leggeri e ironici. D’altronde il ragazzo ne ha di esperienza.

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