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Il naso del passato

Il naso del passato

L’ingrediente principale di questa strampalata commedia tinta di rosa e nero è certamente l’invidia, ingombrante e determinante che tutti (o tanti) provano verso tutti o semplicemente verso lei: Tamara Drewe, gambe lunghe e tutto quanto il resto, compreso un naso rifatto a puntino pronto per essere usato come passe-partout d’accoglienza nel vicinato che un tempo la snobbava. Ma da naso nasce naso, si sa, e così i maschietti di un paesino del Dorset che gravitano attorno a una residenza per scrittori gestita da Beth e impreziosita (per la quanità di libri sfornati più che per le doti umane) dalla presenza di suo marito, il famoso giallista Nicholas Hardiment, annusano aria di cambiamenti. E come le vacche pure i cambiamenti pascolano nevroticamente e liberamente causando una serie inaspettata di eventi rocamboleschi, tradimenti, gelosie, successi e fallimenti epocali. Che si tratti di libri o affetti, è lo stesso.

Frears adatta la graphic novel di Posy Simmonds, a sua volta tratta dal romanzo di Thomas Hardy (Via dalla pazza folla) che brilla di luce propria come faro in tutta la vicenda, e ne ricava un film gustoso, scorretto quanto basta e dal retrogusto piccantello. Non solo. Tamara Drewe diverte, e Frears si diverte (col cinema, la letteratura, la musica), sfottendo la società benpensante e un po’ immobile rappresentata/sintetizzata dal gruppo di scrittori (capitanata dal banale e volgare Nicholas Hardiment, emblema di una finzione sovrascritta alla finzione) e sorprende per il modo con cui si conclude. Gli spunti intelligenti si sommano al colpo di scena finale che trasforma d’improvviso la commedia dei malintesi, a tratti tinta di rosa, in black comedy, con tanto di morte (liberatoria, ma comunque realistica e truce).

Lo stile pop, esplicitamente fumettistico, la smisurata finzione, la passione verso la scrittura (morbosa e invadente, coniugata in pratica con tutti i personaggi, da chi scrive a chi legge, da chi fa biografie a chi scrive canzoni fino a chi fa la giornalista) e la tanta letteratura (come il precedente Chéri era tratto da Colette) spingono Tamara Drewe direttamente e coerentemente nell’universo del cinema di Frears, costruito sempre sulla dialettica dell’apparenza e costrizione (dei ruoli, del corpo, delle passioni, dei sentimenti, del tempo). Certo, non è il Frears del periodo americano (Le relazioni pericolose, Rischiose abitudini o Mary Reilly) o quello di Altà fedeltà, capace di rappresentare la realtà senza troppi compromessi e senza rinunciare al gusto proibito del fingere. Qui, in certi momenti, la sostanza non cambia: cinismo e crudeltà restano i vertici di un umorismo che sfrutta ancora le situazioni imbarazzanti per immergersi in drammi autentici e rischiosi per chiunque. Senza dimenticare il valore e il peso di alcuni personaggi minori (la rockstar capricciosa, la coppia di ragazze che aspettano l’autobus) e di certe sfumature (la verbosità ricamata intorno agli scrittori, i flashback storpiati, la musica) che rafforzano e amplificano il significato di un film sulla finzione delle relazioni e sull’autenticità dei sentimenti. Ma dopo un inizio incoraggiante il film paga, forse, la natura stessa della sua struttura e pare ripetere le dinamiche forti fino al finale inaspettato. Si ride di gusto insomma, ma considerato il finale, forse, si ride pure troppo. Risate ambigue che lascia un sapore gradevole: amaro e persistente, nonostante il piacere del piccante.

Curiosità
A proposito della relazione vita-scrittura-cinema, Stephen Frears ha dichiarato: «Il regista come, credo, lo scrittore, fa esperienza di uno stato mentale molto peculiare: è coinvolto in quel che fa, interno, ma anche distaccato, esterno. È come possedere un cervello diviso a metà. Devi essere partecipe ma anche capace di stare un passo indietro per vedere a fuoco l’insieme. Il libro di Posy Simmonds è fantastico. Così perfetto che in molte occasioni non avrei potuto fare di meglio e perciò mi sono limitato ad omaggiarlo. Le differenze principali riguardano la sorte della ragazzina, il personaggio della rockstar e il finale. Forse il libro è più pessimista, mentre il film vira di più sulla commedia».

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