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cultura dell'immagine e della parola

Torino Film Festival
Diario 2010, Giorno 1

Una scena da Kaboom di Gregg ArakiAncora una volta l’inaugurazione del Torino Film Festival viene richiamata sui media per fatti extra-cinematografici. L’anno scorso l’occupazione del Teatro Regio da parte dei manifestanti NO-Tav, quest’anno dagli studenti mobilitati contro la riforma Gelmini. L’inverno caldo tutto italiano arriva insomma con tutte le sue polemiche fin sotto la mole, tanto che oggi lo sesso direttore del Festival, Gianni Amelio, ha dovuto diramare un comunicato stampa personale con il quale smentiva alcune notizie apparse oggi nelle agenzie fra cui una che indicava il coinvolgimento la struttura del festival nelle manifestazioni degli scorsi giorni (in particolare il TFF avrebbe fornito attrezzature tecniche per la proiezione sulla Mole Antonelliana). Tralasciando ciò, alle ore 16 le proiezioni sono iniziate ufficialmente. E se anche se il grande pubblico si attende a partire dalla giornata di domani, qualcosa di notevole ha fatto capolino già oggi.

E’ il caso del sorprendente Las Marimbas del Infierno, film in concorso del regista di Julio Hernández Cordón (già autore di Gasolina) che racconta con surrealità ed amarezza la vicenda (vera) di un suonatore di Marimbas guatemalteco e della sua impresa quasi riuscita: quella di fondare, assieme a un dottore ex-satanista, il primo gruppo al mondo di Marimbas Rock. Girato in un digitale e con un approccio quasi documentaristico, Cordón utilizza (un pò come aveva fatto Pietro Marcello con la sua La bocca del lupo) persone reali (in questo caso musicisti) per narrare la storia di un’eversione mancata, intrisa di un humor grottesco ma a tratti quasi struggente. Eppure Las Marimbas del Infierno è molto di più che uno carrellata su una narrazione bizzarra: è anche la fotografia lucidissima e spietata di un paese, il Guatemala, che appare una società stritolata dalla morsa della tradizione e dalla modernità: Don Alfonso, il musico delle marimbas è licenziato perchè quel suono tradizionale “non piace più” (anzi, meglio “far suonare un iPod”), Blacko, dottore metallaro, è respinto dai suoi stessi pazienti perchè “capellone”. Chiquilín infine, l’anello dei congiunzione fra i due, rappresenta una nuova generazione incapace di vestire – oltre che un completo gigante, come si vede nel film – un ruolo di primo piano che sappia salvare la situazione, che si tratti di diventare il front-man canoro del band o che si tratti piuttosto di riparare alle sue azioni ai danni del neo-nato gruppo rock. Metafore riuscitissime di una società allo sbando che Cordón fa intravedere con un occhio sognante, ma nello stesso tempo crudele.

Con ambizioni simili è stato presentato anche l’altro film in concorso, The Infidel (Infedele per caso) opera diretta da Josh Appignanesi. Una sorta di commedia degli ecquivoci che gioca sullo scambio di identità religiose in una Londra multiculturale ma non impermeabile alle polemiche dello “scontro di civiltà”. La storia del musulmano Mahmud (una sorta di simpsoniano Homer islamico) che dopo morte della madre scopre di essere in realtà un ebreo offre un godibilissimo incedere di situazioni divertenti ma dopo un pò appare fin troppo legato ai clichè del caso e sembra disperdersi troppo nella narrazione, arrivando con fatica, molta fatica, a un finale quasi telefonato.

C’è stato spazio anche per la sezione Festa Mobile, che oggi offriva uno dei titoli più intriganti: Kaboom del sempre “pop” Gregg Araki, che all’ultimo Cannes con questo titolo si era portato a casa la Queer Palm (miglior film a tematica gay). Presentato come un’opera dai sapori lynchiani (esplicitamente richiamato a Twin Peaks) appare piuttosto un frullato di cultura nichilista nel pieno stile del Gregg Araki di Doom Generation: sguardi “omosex”, fisicità “etero”, petegolezzi “queer”, re-mixati al ritmo ritmo di Facebook, Google e cospirazioni massoniche, dove si prende in giro un pò tutto (Donnie Darko compreso). Piacevolissimo per gli amanti del genere.

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