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Il sorriso oltre la corazza

Il sorriso oltre la corazza

Girare una commedia su una domestica che non sia tutta sorrisi (in stile Disney) o cosce chilometriche in vista (come in certi film sexy anni Settanta) dev’essere stata, per Sebastián Silva, una vera sfida. Cosa può interessare al pubblico di una donna di fatica, poco piacente e dal carattere niente affatto facile? Brutta, scorbutica, scostante: la nana protagonista di Affetti e dispetti è lontana anni luce dalla tata di Mary Poppins, giovane e bella e capace, per mezzo di una canzone e di un sorriso, di rendere unita e felice una famiglia. Malgrado ciò, questo inatteso film cileno si guarda davvero con piacere e risulta essere una commedia divertente, pur nell’estrema semplicità della storia e della regia, proprio in virtù del personaggio di Rachel e dell’interpretazione che ne dà Catalina Saavedra. Basta soffermarsi anche solo sulle prime inquadrature per comprendere perché, all’ultimo Torino Film Festival, l’attrice cilena abbia ricevuto il premio come miglior attrice. Con grande bravura, infatti, la Saavedra ha reso il personaggio di questa donna abbruttita, resa quasi selvatica da anni e anni passati a servire, chiusa in una corazza che le rende possibili solo goffi e impacciati gesti di gentilezza, ma pronta a difendere con le unghie e con i denti il posto da lei occupato, con trovate di riuscita comicità.

Dalla cucina alle camere da letto, il regista segue Rachel in quello che è il suo habitat, ovvero la casa dei suoi padroni, ma non può mostrarci nulla al di fuori di quel luogo, qualcosa che appartenga alla vita della donna al di fuori di quelle mura, e questo perché l’unico spazio che sembra realmente appartenerle è quello dell’abitazione presso cui lavora. Come un animale allevato in cattività, Rachel non sa più vivere al di fuori della casa della signora Pilar, che difende dagli “invasori” come se fosse suo personale territorio, e che ama come una leonessa che allevi cuccioli non suoi, non ammettendo che qualcuno possa prendere il suo posto nei loro cuori. Tutta questa devozione, in realtà, cela un’enorme solitudine, accentuata dal bisogno di rispettare le gerarchie sociali. Seppur trattata con grande familiarità, infatti, Rachel è e rimane una serva e i moti di affetto della sua padrona e dei suoi figli avvengono sempre nel limite di questa consapevolezza, che si rispecchia nel modo i cui gli spazi di questa casa enorme vengono vissuti. Volutamente, il regista sottolinea come i momenti in cui serva e padroni possono condividere la stessa stanza siano sempre brevissimi ed estemporanei: come un cane fedele, la maggior parte del tempo Rachel rimane sola a pulire stanze dove non c’è nessuno e a “proteggere” la casa.

A riportare un sorriso autentico sulle labbra della nana sarà Lucy, l’unica delle candidate che riesca a “sopravvivere” ai dispetti di Rachel e ad aprirsi un varco attraverso la dura corazza che essa ha costruito attorno a sé. In ciò riesce perché offre alla sua collega e amica un calore e una dolcezza autentici, non inficiati dal rapporto serva-padrona. Animata da un’allegria frizzante e contagiosa, Lucy riporta nel cuore di Rachel una spensieratezza che anni e anni di lavoro le avevano fatto perdere, le porta il ricordo del calore di una famiglia vera, le offre l’immagine di un amore sensuale di cui non ha mai potuto godere. Lucy è il mondo al di fuori della casa della signora Pilar, che irrompe all’interno del fortino, costringendo Rachel a parlare, a ridere, a respirare un’aria che non odori di detersivo e di pavimenti pulitissimi. L’immagine del mondo al di fuori delle mura rimane nel cuore di questa Mary Poppins cilena anche quando la sua amica andrà via, malgrado il dolore della separazione, dandole l’opportunità di ritrovare la serenità perduta e il coraggio di non sentirsi più animale in gabbia chiamato solo a servire.

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