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cultura dell'immagine e della parola

Schegge da Cannes
Xiaoshai e De Oliveira

I centouno anni di Manoel De Oliveira sul red carpet della CroisetteDopo aver fatto rivedere Il gladiatore, semplicemente cambiando il titolo del film e mettendo una calzamaglia a Russel Crowe, finalmente Cannes propone opere originali. Chongqing Blues é l’ultimo lavoro di Wang Xiaoshai, il regista noto in Italia per Le biciclette di Pechino. Una veduta panoramica della metropoli di Chongqing che vede la compresenza dello skyline dei moderni grattacieli con i palazzoni alveari della povera gente. In questa inquadratura, simbolo della Cina contemporanea, è concentrato il senso del film, del cinema di Wang Xiaoshai. In quest’opera peraltro abbandona lo stile neorealista del film che l’ha reso celebre, per un’opera dalla struttura narrativa contorta, con l’intrecciarsi del presente con flashback in divenire, un po’ come quelli del primo Dario Argento o di Atom Egoyan, che solo alla fine danno un senso alla storia. Chongqing, la città del titolo, è attraversata dall’immenso fiume Yangtze che la taglia in due parti, come fosse un mare metropolitano, collegate tra loro da una teleferica. La stessa ambientazione era stata sfruttata dal film Bliss di Sheng Zhi-min, presentato a Locarno nel 2006.

Grande protagonista della giornata è stato “o maestro” Manoel De Oliveira ormai ultracentenario, con il film O estranho caso de Angelica. Si tratta di un’opera sublime, una storia di fantasmi, incentrato sulle dicotomie vita/morte, corpo/anima, animato/inanimato, realtà/rappresentazione fotografica, materia/energia. E il protagonista, un fotografo che riprende le immagini dei vecchi lavori, artigianali e agricoli, della valle del fiume Douro, si puó vedere un eco del primo lavoro del regista, il documentario Douro, Faina Fluvial (1931). Un epitaffio? Decisamente no, dal momento che il vegliardo sta lavorando ad altri due progetti.

Degno di nota anche il film sudcoreano The Housemaid di Im Sangsoo. Si tratta del remake di una pietra miliare di quella cinematografia del 1960, un melò opera del grande regista Kim Ki-young, mentore di Kim Ki-duk. E’ un’operazione molto simile a quella fatta da Todd Haynes in Lontano dal Paradiso con il cinema di Douglas Sirk. Im Sangsoo ricrea un ambiente tipico di tanti melò: quelle grandi scalinate di marmo delle case aristocratiche, sormontate da grandissimi lampadari, quelle dimore popolate da famiglie meschine in genere capeggiate da patriarchi autoritari. Come Haynes, il regista sudcoreano esplicita tutto quello che in quei classici era appena suggerito, nella delineazione di un mondo sordido: la lussuria con le scene di sesso esibite e suggerite da dialoghi inequivocabili. Un grande film di donne, dove queste sono il motore dell’azione, le dominatrice e le vittime, mentre l’unico protagonista maschile è una figura passiva.

Infine il caso, almeno per i giornali italiani, del Festival, Draquila di Sabina Guzzanti. Preceduto dalle polemiche per il mancato arrivo del ministro Bondi, liquidate dal Delegato Generale Thierry Frémaux con la semplice frase “non vedo come possa boicottare il Festival una persona che non è stata neanche invitata”. Dal punto di vista esclusivamente cinematografico, il film è riuscito solo in parte. La Guzzanti, da grandissima imitatrice, non funziona quando fa la caricatura di Berlusconi tra le macerie, non funziona quando riprende immagini delle gaffe del Premier già abbondantemente viste a Blob o su internet. In questi casi non si tratta di satira e nemmeno di farsa, ma di semplice burla. Funziona invece quando imita Michael Moore, ma soprattutto Report e il giornalismo d’inchiesta, in cui si dimostra davvero brava. Riesce a fare davvero un’opera di controinformazione. Una giornata interessante a Cannes, tra freddo polare e fuochi d’artificio.

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