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cultura dell'immagine e della parola

Jekyll, l’altra faccia della tv

«La critica è morta. La tv è una forma di rappresentazione, quindi è un modo per guardare il mondo. Non commenterò la tv, ma il mondo attraverso di lei». Così qualche settimana fa Gianluca Nicoletti, già autore degli editoriali di Matrix e voce radiofonica tra le più note di Radio 24, illustrava al Giornale la piattaforma teorica sulla quale si sarebbe basata Jekyll, la striscia mattutina di Italia Uno dedicata alla televisione “del giorno prima”. Un format ideato da Mario Giordano e condotto, appunto, dal giornalista perugino. L’idea di fondo? Semplicissima: si prendono spezzoni televisivi, insieme a qualche video raccolto in Rete e li si ripropone commentati dall’opinionista-conduttore. Senza studio, senza stacchi, senza soluzione di continuità. Insomma, una sorta Blob chiosato, semplificato e reso quanto più didascalico possibile a uso e consumo dello spettatore. Un programma che giudica la tv, senza però provare a spiegarla.

Il risultato non mi piace. Non perché io reputi cattiva in sé l’idea di una “moviola” della tv appena trascorsa, né perché io abbia particolari preconcetti verso gli autori del programma. Il problema di fondo è che, prendendo le mosse da premesse metodologiche che trovo sbagliate, questo Jekyll mi pare si sviluppi male, prendendo la forma di una piatta “chiacchiera da bar” a senso unico, che nulla dà e nulla può dare chi la guarda. Partiamo proprio da quel “la critica è morta”, che sicuramente avrà fatto felici tutti i sostenitori del pensiero debolissimo, quelli per cui ogni attività intellettuale è indice di spocchia, quelli per cui è la pancia che comanda, mica il cervello. Per come la vedo io, annunciare la morte della critica equivale a celebrare il funerale della ragione intesa come qualità propria di ogni individuo. Perché questo fa il critico: esporre un pensiero in modo che chi lo ascolta possa comprenderlo, metterlo a confronto con la propria visione e giudicarlo. L’esatto opposto di quello che propone Jekyll, dove il commento non prevede mai lo sviluppo di un ragionamento, ma solo il susseguirsi di commenti più o meno ficcanti, di allusioni e giudizi “istantanei”. Proprio come fa chiunque di noi dal suo divano durante una normale sessione di zapping.

La forza del format di Italia Uno, d’altra parte, sta proprio qui, nel suo mettersi “a livello dello spettatore”, evitando di stimolarlo e limitandosi a rassicurarlo sul fatto che sì, la tv è proprio così come la vede lui, né più né meno. E così si arriva a quel «non commenterò la tv, ma il mondo attraverso di lei» che sintetizza alla perfezione lo stato dell’arte del medium televisivo. Un mezzo di comunicazione che non si è (quasi) mai spiegato, ma che ha sempre cercato di spiegarci qualcosa (la politica, la società, il presente, la vita). Lo so, la mia in questo momento è una visione apocalittica. Forse troppo. Ci sono altri programmi, altre reti, altri approcci più costruttivi (stando sullo stesso campo, basti citare l’eccellente Tv Talk). Eppure il sottotitolo di Jekyll non può che farmi rabbrividire. L’avete letto? “L’altra faccia della tv”: immagino si riferisca alle immagini mostrate, non al programma stesso. Ma nella testa di uno zombie come me (“zombie” in quanto sedicente critico televisivo, anche se solo a livello amatoriale), qualche legittimo dubbio può anche affacciarsi.

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