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Vivere e morire a Livorno

Vivere e morire a Livorno

Proprio come Martin Scorsese per Little Italy, Paolo Virzì riesce a dare il meglio di sé quando torna nell’ambiente da cui proviene, la Livorno dei quartieri popolari, dei grandi palazzoni-alveari degli anni Cinquanta, da cui non si riesce nemmeno a vedere il mare. La città da cui era fuggito perché gli stava stretta, per poi scoprire di esserne rimasto legato proprio come succede a Bruno, il personaggio interpretato da Valerio Mastandrea. Il mondo della provincia bacchettona, ipocrita e pettegola, opprimente per un personaggio come quello di Anna, una donna libera e anticonformista.

Naturalmente i paragoni con il grande cineasta italo-americano finiscono qui. Il modello di riferimento per il regista toscano è piuttosto quello della grande tradizione della commedia all’italiana, di cui si pone come l’ideale continuatore per il sapore agrodolce dei suoi film, per la capacità di raccontare la società contemporanea, con tutte le sue contraddizioni e sfumature, mantenendosi su un tono leggero, da commedia appunto. In questo caso l’omaggio a quella grande stagione cinematografica è esplicito, e ruota attorno a Stefania Sandrelli, che funge da citazione vivente. Per espressa ammissione degli sceneggiatori, la figura di Anna è stata costruita sull’immaginario cinematografico della grande attrice, autentica icona del cinema italiano. In particolare Anna giovane sembra ricalcare quell’Adriana protagonista di Io la conoscevo bene (Antonio Pietrangeli, 1965), un capolavoro misconosciuto del nostro cinema. Entrambe sono ragazze di provincia bellissime, solari, frivole, ma al tempo stesso ingenue, ingannate e sfruttate dagli uomini. L’avventura cinematografica di Anna, che la porta a recitare per Dino Risi, citazione nella citazione, è un esplicito riferimento alla protagonista del film di Pietrangeli, che vuole entrare nel mondo dorato dello spettacolo. Dal canto suo, la Sandrelli costruisce quella che è la naturale evoluzione, da anziana, di quel personaggio. E’ rimasta una persona semplice, che ora non può che appassionarsi delle trasmissioni di Maria De Filippi. Come malata terminale è poco credibile, ma si tratta di una inverosimiglianza voluta: la sua grande vitalità la preserva dal decadimento fisico. Potrà morire solo dopo essersi risposata e naturalmente il momento del decesso non potrà che rimanere fuoricampo.

Certo La prima cosa bella è un film costruito su tanti clichè, su tanti ingredienti visti e stravisti, dal montaggio alternato presente/passato, fino all’utilizzo di una canzone popolare come titolo, elemento che sembra sempre più essere diventata di moda. Ma la canzone di Nicola Di Bari, oltre al suo chiaro senso evocativo e nostalgico, è anche un riferimento alla figura materna, la prima cosa bella che si vede quando si viene alla luce. Una bellezza primigenia e ancestrale, segno di quello sguardo dolcissimo e delicatissimo, con cui Virzì riesce a trattare i ricordi, la nostalgia, il ciclo della vita.

Curiosità
Alcuni momenti e alcune battute della Sandrelli sono il risultato di sue improvvisazioni sul set. Nella sua lunga carriera si racconta di altre uscite dal copione, come la famosa scena della lunga risata di fronte a Jean-Louise Trintignant, in Il conformista (Bernardo Bertolucci, 1970).

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