Graffi nell’anima
Sabina è una giovane doppiatrice, che ha rinunciato da tempo alla carriera nel mondo dello spettacolo e che vive con Franco, attore semi-disoccupato. Sua cara amica è Emilia, una coetanea diventata cieca in seguito ad una malattia, segretamente innamorata di lei. Una crescente inquietudine si impadronisce della protagonista, veicolata da sogni che a livello conscio non riesce a decifrare. Questa stanchezza psicologica si riflette nel rapporto di coppia, all’interno del quale si crea un gelo che spinge Sabina a partire per gli Stati Uniti in visita al fratello. Qui, con profondo stupore, viene a conoscenza della relazione incestuosa del padre prima col fratello e poi con lei. L’umiliazione sepolta nel ricordo riaffiora dopo tanti anni e complica il suo ritorno alla normalità domestica: rientrata in Italia, nuove paure la assalgono riguardo al bambino che porta in grembo e al futuro ruolo di padre di Franco. Parallelamente si svolge la storia d’amore tra la collega Maria ed Emilia, che non riesce a dimenticare i suoi sentimenti per la protagonista e perciò mette a dura prova il suo nuovo legame.
Le tematiche forti e attuali evidenziate dal romanzo della Comencini sono riprese e sviluppate in maniera più sintetica, ma non meno intensa, nella pellicola diretta da lei stessa. L’amore lesbico, il sentimento di profonda violazione, il tradimento e la maternità sono trattati in maniera più asciutta ma efficace, nonostante il tentativo di ricreare visivamente le angosce interiori di Sabina riesca solo in parte. Tali temi scottanti non scioccano più di tanto lo spettatore poiché l’atmosfera malinconica e opprimente rende quasi naturale lo sviluppo drammatico della vicenda, sebbene non manchino la speranza e un parziale happy ending. I numerosi spunti di riflessione sono racchiusi in un’atmosfera introspettiva e delicata tipicamente femminile che domina più nel testo che nel film, dove alcuni aspetti relazionali vengono affrontati più speditamente. Diverse modifiche narrative sono infatti state apportate allo scopo di rendere più fluida la narrazione: tra queste spicca il mancato approfondimento del rapporto tra Franco e Sabina. Non c’è la dipendenza economica dell’uomo nei confronti della compagna, non si sottolinea il rifiuto dei rapporti sessuali da parte di quest’ultima. Si evince la mancanza di dialogo tra i due e il progressivo isolamento della protagonista in un mondo di sofferenza soffocata, ma i tormenti interiori del suo uomo sono appena accennati, appiattiti. In definitiva i rapporti umani sembrano più profondi nel libro, ricco e coinvolgente. La volontà di concentrarsi sulla vicenda principale non è del tutto da condannare in quanto la protagonista riesce adeguatamente a esprimere l’angoscia della propria condizione attraverso dialoghi che aderiscono al testo originale. Giovanna Mezzogiorno si immedesima perfettamente nel suo personaggio, avvezza com’è ai ruoli di donna fragile capace di mettersi in discussione (La finestra di fronte). Ottimo anche Luigi Lo Cascio come interprete di un Daniele deciso nel lavoro ma insicuro e traumatizzato tra le mura domestiche. Altre scelte di regia appaiono meno comprensibili. Troviamo una Stefania Rocca rigida e astiosa più di quanto fosse il personaggio originale, mentre Angela Finocchiaro incarna una Maria simpatica e svampita al posto della cinquantenne acida e in guerra col mondo maschile descritta dal romanzo.
Mai disperarsi, il male è presente nelle nostre vite e non si può fare altro che riconoscerlo; l’unico modo per sopravvivere è accettare dei compromessi con se stessi e con le persone a noi care (Sabina e Franco; Emilia e Maria). Questa è la morale esaltata dalla pellicola, un adattamento complessivamente ben riuscito, nonostante le piccole modifiche che non sciupano l’intensità della storia.
La bestia nel cuore, romanzo di Cristina Comencini, 2004
La bestia nel cuore, regia di Cristina Comencini, 2005
A cura di Claudia Beltrame
la sottile linea rossa ::