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Di notte leoni, di giorno…

Di notte leoni, di giorno...

Cosa accade ai protagonisti dei vari teen movie a stelle&strisce – American Pie, Road Trip dello stesso Phillips – quando, ultratrentenni, tocca convolare a giuste nozze? Ce lo spiega il campione d’incassi delle ultime settimane (100 milioni di dollari nei primi dieci giorni), ennesima commedia politically incorrect di un filone sempre fecondo e che parte da uno spunto facile facile: quattro amici vanno a Las Vegas a due giorni dalle nozze di uno di loro, ma i postumi da sbornia della notte brava (l’hangover del titolo originale, appunto) li catapulterà in una sequela di avvenimenti al limite del nonsense.

Da questo semplicissimo presupposto prende il via un’ora e mezza di assoluto divertimento come non accadeva in sala da un bel po’. Dopo la classica presentazione dei personaggi, Phillips ci catapulta immediatamente in una Las Vegas ipercinetica e lussuosa, in puro stile videoclipparo e, dopo la serata di bagordi (genialmente lasciata in ellisse) di cui nessuno ricorda nulla, comincia la ricerca del futuro sposo, misteriosamente scomparso, e l’indagine su cosa sia davvero successo. Tutto il film è costruito su un martellante percorso a ritroso in cui veniamo letteralmente investiti da personaggi stravaganti, situazioni assurde (la tigre in camera, un dente mancante, il furto di un’auto della polizia) che altro non sono che i pezzi di un puzzle che man mano viene ricostruito.
Alcune situazioni sanno di déjà-vu e l’umorismo di questo trio di anti-eroi richiama quello tipico del college (si parla di sperma e altre grossolanità, e anche l’11 Settembre non è più tabù in questa presa in giro della nuova America obamiana) ma non si sfocia mai nel turpe: anzi, il cast, che non vanta attori di richiamo, regala momenti di grande comicità e non dispiace quando scivola compiaciuto nel surreale. In questa reductio ad absurdum dei suoi precedenti film, Phillips mette i protagonisti di fronte alle contraddizioni della vita matrimoniale, che in American Pie era invece il punto di arrivo, e regala alcuni ritratti interessanti come quello di Stu (oppresso da una ragazza insopportabile, alla fine ribalterà un po’ l’happy ending moralista del film, lasciandola) o Alan, pazzoide e sboccato, su cui grava anche il sospetto di pedofilia, a cui però sono legati i momenti più esilaranti della pellicola.

Ben scritta nonostante alcuni stereotipi che almeno vengono smitizzati – il deserto, Las Vegas, l’immancabile malavitoso cinese – Una notte da leoni eccede, ma lo fa con intelligenza. Il finale conciliante (fa eccezione Stu) segna per questi trentenni l’addio all’avventura (come promette Doug) e purtroppo il ritorno sui binari, cinematografici e non, del corretto: le foto che finalmente svelano, sui titoli di coda, cosa è accaduto quella notte verranno cancellate. Come in una crime-story, il colpevole è svelato alla fine. L’ultima trasgressione viene quindi affidata all’o-sceno, al di fuori del film: sono ‘istantanee’ e tali rimarranno. Lo status quo è salvo, retrogusto dolce-amaro di una libertà irrimediabilmente perduta. Però, che ridere!

Curiosità
Il cammeo di Myke Tyson e le pseudo-foto ‘rubate’ nella sua villa nei titoli di coda.

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