hideout

cultura dell'immagine e della parola

Senza prospettive

Senza prospettive

Non basta la bella presenza di Will Smith (che ogni cosa che tocca tramuta in oro, anche se la maggior parte dei suoi film restano nientediché) a rendere il Muccino-Smith-bis un film interessante. E non basta neppure l’altra bella presenza di Rosario Dawson (che si spera non appassisca col tempo in ruoli come questo; qui il suo personaggio si specchia con quello della 25° ora di Spike Lee) o quella del bravo Barry Pepper (anche lui nel film di Lee ma anche in Le tre sepolture di Tommy Lee Jones) e del redivivo Woody Harrelson (sempre più impegnato in campagne per la tutela dell’ambiente).

Si muove poco sotto la pelle di questo Sette anime, erroneamente (anzi volutamente) tradotto in Italia con un titolo di per sé già ruffiano, visto che l’originale Seven Pounds (sette pesi) sarebbe stato, a quante pare, meno accattivante. È un film debole che prova a vestirsi da film potente (vedi frase di lancio, pensata dalla voce fuori campo, con tanto di uomo fisicato che nuota nel mare) con un’idea debole e già vista (21 grammi di Iñárritu racconta una storia simile ma con esiti incredibilmente più devastanti, profondi e significativi) che si maschera da colpo di scena ma che non lo è, e molto probabilmente non riesce ad esserlo. Sette anime vuole raccontare il dolore, il senso di colpa di un uomo che non riesce più a convivere con un passato troppo invadente e invasivo e che, in preda allo sconforto più letale, decide di pagare i conti con il destino compiendo un gesto estremo. Nonostante le fondamenta del film sembrino spingere lo sguardo del regista verso un percorso di redenzione e meditazione da parte del protagonista, il film si dimostra principalmente un’operazione meschina e ricattatoria, priva di spunti originali, curiosi o spiazzanti e assolutamente arido di suggestioni.
Sette anime, oltre a subire la lentezza della regia di Muccino (soluzioni didascaliche, inquadrature esclusivamente aderenti alla figura di Smith, flashback superficiali), la prevedibilità della sceneggiatura di Grant Nieporte (che come prima volta dopo l’esperienza in tv con 8 semplici regole, non ha certamente partorito grandi idee) e i colori inspiegabilmente accesi di scenari e fotografia (trattandosi di una tragedia il quadro estetico è piuttosto confuso e ambiguo), costruisce con abilità un grande ricatto morale. Sembra che l’intenzione nascosta del film, e di chi tira i fili, sia costringere lo spettatore a schierarsi a favore o contro le azioni del personaggio di Smith (ma non c’è già la tv, che con sondaggi, reality e simili spinge lo spettatore a giudicare le azioni di sconosciuti?). Ma qui, come spesso accade anche in certi programmi televisivi, la scintilla non si accende.

Muccino smarrisce velocemente l’intenzione di rappresentare un nuovo solco dell’umanità contemporanea, che dopo quella cinica e arrivista di La ricerca della felicità sarebbe dovuta essere quella relativista, individualista e autogiustizialista di Sette anime. In entrambi i casi sono invece più evidenti due aspetti: l’intenzione di offrire a Will Smith un ruolo drammatico per controbilanciare la sua fortunata carriera e l’insistente desiderio/perversione/ossessione di Gabriele Muccino nel raccontare commercialmente, con toni ruffiani e patetici, l’uomo e quelli che si dovrebbero chiamare sentimenti. Diventa addirittura fin troppo scontato ammettere che Sette anime sia struggente solo per la pazienza di chi guarda. Ma forse tutto questo autolesionismo a qualcuno piace.

Curiosità
Gabriele Muccino, dopo i corsi di sceneggiatura al Centro Sperimentale e alcuni corti per la Rai, debutta alla regia con alcuni episodi della soap Un posto al sole. A proposito di Sette anime ha detto: «Il film più difficile che abbia mai fatto, è stato come lanciarsi senza paracadute. Ho dovuto rappresentare mille sfumature e sentimenti, dal senso della perdita della persona amata ai sensi di colpa, dalla depressione a un incontro d’amore che fa deragliare tutti i piani. Quando ho letto per la prima volta la sceneggiatura sono rimasto spiazzato. Era criptica, delle prime sessanta pagine non avevo capito niente, eppure ero preso dalla storia, intrigato e confuso».

Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento!

«

»