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cultura dell'immagine e della parola

Il testimone della docufiction

È vero che la televisione si autocita, e si autocelebra molto spesso. Ma a volte forse non è proprio un male. Infatti per una volta è stata in grado di destare la mia attenzione: una sera poco movimentata mi sono imbattuta ne Le interviste barbariche di Daria Bignardi su la7, durante un’intervista all’ex iena, ora regista televisivo Pif, e all’ex cabarettista, ora scrittore, Giorgio Faletti.

Ero rimasta abbastanza colpita nello scoprire che Pif, Pierfrancesco Diliberto, aveva 36 anni: per qualche ragione mi ritrovai a pensare che era vecchio. Ancora di più mi faceva sorridere il fatto che raccontsse di come, ancora trent’enne nullafacente sul divano dei genitori, fosse stato raggiunto da una telefonata della zia che lo avrebbe fatto finire dritto dritto a lavorare in un’agenzia di assicurazioni. Una storia come tante oggi. Poco dopo scoprivo dal suo discorso finto-incerto da eterno adolescente che il suo sogno è fare il regista cinematografico, cosa difficile se non sei inserito. Qualche chance però potrebbe averla, vista l’esperienza con Franco Zeffirelli per Un té con Mussolini: faceva l’aiuto regista, ma, in realtà, per sua stessa ammissione, era niente più che un dogsitter. Iniziavo a insospettirmi, ancor di più mentre venivo a sapere che il padre di Pif era un regista televisivo. Le cose cominciavano a quadrare.

In ogni caso, la storia del mammone con un sogno nel cassetto, che più o meno lo realizza, mi avva rassicurato e mi aveva fatto venire voglia di vedere questo suo Il testimone, in onda dal 15 ottobre ogni mercoledì su Mtv.

Non c’è dubbio che lo stile documentario, sia al cinema che in televisione, sia più che mai interessante, anche se spesso, soprattutto sul grande schermo, fa ancora paura a produttori e distributori. Ma va da sè che nelgi ultimi tempi le cose che mi hanno colpito di più in giro per festival erano documentari o falsi tali (cito d’istinto Cloverfield, The King of Kong, Under the Sea Level). Nella dimensione televisiva il docu, o falso tale, si trasforma in qualcosa di diverso ma dalla radice simile, il reality show: verità, o falsa tale, mostrata, o raccontata, in modo da essere, o sembrare, sè stessa. Pura e semplice verità di cose, persone, concetti.

Il testimone di Pif s’incunea in questo sistema: quasi un one man show di un quasi self made man, fa del punto di vista fisico e concettuale la propria forza. Mi spiego. Nella telecamerina digitale c’è tutta la contemporaneità delle riprese reali, quelle di cui il mondo si è accorto dopo l’11 settembre, ma che esistevano già da un po’. È come uno strumento che con le sue caratteristiche stabilisce la verità dell’immagine: tremolanti, incerte, sfuocate. Un punto di vista inusuale, ma nemmeno molto, in una tv che deve essere sempre flusso omogeneo. Ma in realtà ormai pure Mtv, forse più degli altri network, ha inglobato i nuovi modi di ripresa e visione dei cellulari, delle videocamerine e dello streaming internet. In una parola: ciò che è sporco, quindi vero (equivalenza che sappiamo essere problematica, ma per intanto è bastante), attira lo sguardo.

Ma, mi diceva all’università un professore, regista di videoclip e scrittore, che le nuove tecnologie non fanno il regista. Non solo perchè puoi riesci a fare. Verissimo: ne Il testimone il digitale trasporta un significato, è un punto di vista altro per raccontare storie da un diverso punto di vista, da uno sguardo narrativo che s’infila con facilità (piccola e maneggevole macchinetta) dentro realtà nascoste, eventi non raccontati, persone invisibili.

E c’è sempre un fortissimo accento sulla signolarità del pensiero di Pif, e non potrebbe essere altrimenti: ci imbroglia un po’, come quando dice che a trent’anni stava sul divano a fare nulla, facendosi passare per un semplice “testimone”. Pif in realtà interpreta e riflette su persone ed eventi che incontra in maniera del tutto personale, e lo dichiara sempre “facendoci fare un passo indietro”, come dice sempre nei suoi video. Non solo ci sta dicendo che la storia è montata, quindi frutto di scelte, ma che lui, padrone di quel narrato, può camminarci indietro e avanti a piacimento. Nulla di più costruito quindi. Ma, proprio perchè costruito con una forma giusta, documentaristica, noi crediamo a ogni cosa. Anzi, meglio ancora, ci stiamo dentro come se Pif ci portasse con lui nell’altra mano, quella libera dalla videocamera.

È un onesto imbroglio, è un prodotto televisivo che sotto ha un cuore complesso e fuori sembra semplice semplice. Caro Pif, non è forse vero che è dal 1994 che lavori come regista e autore televisivo? Puoi anche dirla la verità, ma va bene: dilla pure a modo tuo.

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