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La haka delle pecore

La haka delle pecore

Non c’è animale come la pecora che possa rappresentare la mitezza, il candore e la pavidità. Legato per definizione al concetto di gregge, l’ovino ha sempre iconizzato l’essere che necessita della massa per sopravvivere, che gode di un’intelligenza collettiva diffusa e che, biblicamente, si trasforma in olocausto sacrificale come elemento di purezza. Difficile quindi immaginare di essere spaventati da una pecora, dal suo sguardo poco intelligente e dalla sua andatura da vecchia signora. C’è però chi soffre anche di una grave forma di ovinofobia, a causa di un assurdo incidente vissuto in gioventù.

La narrazione si snoda attorno all’ennesima declinazione del mito di Frankenstein, in cui l’uomo si sostituisce a Dio, modificando la natura e subendone le tragiche conseguenze. In Black Sheep però ciò che colpisce è la lucida follia con cui si trattano temi classici del cinema horror, con il preciso intento di far ridere esasperando gli elementi macabri, disgustosi e sanguinolenti. Siamo dalle parti di Splatter (Braindead, 1992) di Pater Jackson, l’apice del cinema alla Tom Savini che amava riempire il set di frattaglie, arti mozzati di lattice che inondavano qualunque cosa con ettolitri di sangue finto. L’orrore estremo di Jonathan King genera comicità, i due estremi riescono a trovare un contatto grazie all’assurdità del paradosso. Black Sheep stupisce però anche per la qualità produttiva che dimostra fin dai primissimi fotogrammi. Gli splendidi panorami neozelandesi sono fotografati in modo superbo da Richard Bluck che riesce perfettamente a costruire una confezione di lusso a un prodotto che invece nasce con un budget piuttosto ridotto. Gli effetti speciali, in cui c’è lo zampino della Weta di Peter Jackson, scelgono non utilizzare massicce dosi di computer graphic, optando per i mezzi classici come pupazzi animatronici, protesi al silicone, arti finti e, ovviamente tante frattaglie e liquidi organici.

Dimentichiamo le parodie hollywoodiane in voga negli ultimi anni, in Nuova Zelanda di pecoreccio c’è molto poco (perdonatemi il gioco di parole). Non siamo dalle parti di un American Pie in chiave horror e neppure di uno Scary Movie in versione ovina. I riferimenti sono invece velatamente espliciti, in particolare quelli al maestro Alfred Hitchcock e alla sua rivolta animalesca de Gli uccelli: solo che in questo caso il suggerimento è quello di staccare il cervello e lasciarsi trascinare dalla follia di un gregge impazzito!

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