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cultura dell'immagine e della parola

Venezia. Sembra ieri
5 settembre

Kathryn BigelowIeri, ad un tratto, ho conosciuto il profilo sporco dei film della Mostra. Dopo Rachel getting married di Demme, primo film che unendo sesso, droga e rock’n’roll sporca i suoi personaggi rendendoli vulnerabili, contraddittori, veri, ho avuto l’impressione che si stava varcando un confine significativo, netto, profondo.
Poi, ieri, infatti, è stato il giorno di uno strano ritorno, quello di Celentano (che si unisce alla lunga fila di arzilli over 70) che sbarca al Lido con tutti i suoi profili: quello del regista dello strano, pazzo e bello Yuppi Du, uno degli eventi della Mostra abbastanza snobbato dalla stampa, quello del provocatore, ha insultato a destra e sinistra, Berlusconi e Veltroni, e quello di premiatore del Leone d’Oro alla carriera destinato a Olmi.

Ieri, con Yuppi Du, si è guardato indietro all’altroieri ancora. Poi, ecco lo sporco. Oggi ripenso al film di ieri di Kathryn Bigelow, The Hurt Locker, e rivedo gli occhi di tre soldati: uno che non c’entra niente, e lo sa e ha paura, uno che è attento, ma vorrebbe dare di più, il terzo, il vero protagonista del racconto, che è proiettato costantemente nell’inferno dell’azzardo. Tre soldati americani che combattono la guerra in Iraq con tre sguardi diversi. E la Bigelow che insegue le ragioni d’essere, le missioni di ciascuno, i desideri e le paure e poi ci ricama un film adrenalinico, ambiguo, psichedelico. Un vortice sporco che non vuole esaltare le imprese dell’eroe di turno, ma che, forse, tenta di amplificare l’idea di uomo (che qui appare come robot e come uomo). Insomma, un film elettrico, sporco appunto come il film di Demme. Due vibrazioni in coda alla Mostra.

Ieri si è chiuso col pensiero a oggi e col film di Pappi Corsicato, Il seme della discordia. Non credo che le pedine mosse dal regista di I buchi neri e Chimera siano la cosa peggiore di questa Mostra. Credo, però, che nonostante l’idea simpatica di allestire uno scenario grottesco, bizzarro, strafottente intorno a problemi sentimentali, il film compia un errore fatale. Mostri del giorno d’oggi, va bene, ma è imbarazzante pensare che il film, in poche parole, contempla stupro, aborto, tradimenti senza troppi scrupoli. Resta curioso l’uso del colore e le convincenti recitazioni dei bravi attori (Murino, Ferrari e Gassman). Incompreso (io?).
Mi fido di Aronofsky, che oggi porta in concorso The wrestler. Conclusione ideale di una Mostra intelligente.

Chi sale e chi scende
Up
Chi si mette in fila due ore prima per il film di Pappi Corsicato (della serie: ciao siamo amici e inganniamo il tempo prima del film). Chi capisce quando è il momento di avviarsi, di fermarsi, di andare avanti. Chi sa perdonare, chi sa accogliere. Chi tra qualche ora o qualche giorno ci riderà sopra. Chi è malinconico (ma solo per poco). La mia personalissima top five (Ponyo, The Hurt Locker, Vegas, Teza, Rachel getting married – ma Avati potrebbe vincere il Leone d’oro). I fotografi. La giornalista (così pare) che ha passato la notte sui divanetti della stampa. Un genio. Il giornalista che avevo a fianco ieri sera che, in inglese, ha sgridato i due che aveva a fianco, rassegnandosi dopo poco. L’acqua gratis in sala stampa. Una manna. Le cose che finiscono bene. proiettate.

Down
Dedicato al vialetto che costeggia il red carpet che ogni anno ha messo in Mostra i manifesti dei film presentati a Venezia e quest’anno, invece, ha subito diverse insegne pubblicitarie (che brutta parola). Tra i manifesti più brutti spicca quello di Un giorno perfetto.
Dedicato alle finte bevute al bar. Dedicato a chi, anche ieri, dopo nove giorni, non ha ancora capito dove si deve mettere in fila. Dedicato a chi, per questo motivo, ha perso un po’ la pazienza. Dedicato alle valigie pesanti. A chi è pesante e a chi è ingombrante. A chi ride per nulla e continua a farlo. A chi deve tagliare e poi, alla fine, si taglia. Dedicato al film di Bechis, se vince (non me ne voglia, glielo auguro, ma è l’unico che non ho visto). Dedicato alle cose che finiscono male. Ferme.

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