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Intervista a Silvio Muccino

A colloquio con Silvio Muccino per scoprire i retroscena di Parlami d’amore, primo film di cui l’attore firma anche la regia. Tratto dal libro omonimo scritto dallo stesso Muccino e da Carla Vangelista.

Come hai adattato il romanzo allo schermo?

Quello che abbiamo fatto io e Carla Vangelista (coautrice del libro omonimo Parlami d’amore, ndr) è stato soprattutto cercare di mantenere il fuoco sul senso della storia. Nel passaggio dal libro alla sceneggiatura sono stati ovviamente apportati dei cambiamenti e, di conseguenza, più che una sceneggiatura tratta dal libro, si può parlare di un film liberamente tratto dalla storia di Parlami d’amore.

Qual è il nodo tematico centrale della storia?

Volevamo raccontare l’incapacità di lasciarsi andare all’amore, a venti come a quarant’anni: perché, al contrario del modo in cui se ne parla di solito, l’amore non è un sentimento rassicurante; è feroce, l’amore, come un animale che non può essere addomesticato. Questo film parla di paure e fantasmi, e per questo credo che parli d’amore in maniera onesta.

Nel film si riconoscono moltissime citazioni: su quale immaginario cinematografico ti sei basato?

Come esordiente ho cercato di fare un film che parlasse d’amore, ma anche del mio amore per il cinema. Più che citazioni sono omaggi, suggestioni… Ad esempio girando la scena in cui Nicole e Sasha parlano sul ponte avevo in testa À bout de souffle di Godard. Entrambi i protagonisti sono due personaggi da cinema francese: Nicole assomiglia molto all’Anouk Aimée di Un uomo, una donna, per esempio. Il cinema della nouvelle vague raccontava l’amore in modo serio, senza sdrammatizzarlo: in Italia l’ha fatto solo Bertolucci, che per me è un grandissimo maestro. Ad esempio la scena del pestaggio di Sasha è stata girata davanti allo stesso muro dell’ara pacis a Roma dove fu il Trintignant de Il conformista. In generale la Roma rappresentata nel mio film è una Roma estetizzante che somiglia molto a Parigi.


Una delle frasi chiave del film è “Non esiste una donna che non possa essere conquistata”: che significato ha?

È fondamentalmente una provocazione, ma credo che ci sia anche del vero. È più che altro un appiglio che Nicole usa per far abboccare questo ragazzo, Sasha, e farlo uscire allo scoperto, un pretesto per convincerlo a mettersi in gioco. Perché poi quello che ne scaturisce è fondamentalmente un gioco. Credo che niente sia più seducente che mettersi in gioco…

Perché hai scelto Aitana e Carolina come protagoniste femminili?

Aitana è stata un regalo della Cattleya (era già comparsa in Io non ho paura di Salvatores, ndr). Ci siamo incontrati a Roma, lei aveva già letto la sceneggiatura e aveva moltissima voglia di interpretare il personaggio di Nicole. Poi in un secondo momento sono andato in Spagna per rivederla e capire quanto fosse aderente al personaggio: appena l’ho vista scendere dall’auto ho capito che era già Nicole, vestita e pettinata come lei… Credo che sia per questo che le attrici sono tanto affascinanti. Invece Carolina l’ho incontrata ai casting: di persona ho avuto la sensazione che tra il [img4]personaggio di Benedetta e lei ci fosse una gran distanza, però mi hanno colpito i suoi occhi profondi. Benedetta è un personaggio che deve risultare superficiale solo in apparenza.

Invece quanto Silvio Muccino c’è in Sasha?

Sasha è un ragazzo lontano anni luce da me: ha un passato difficile, pieno di fantasmi, è orfano e conosce la sofferenza e l’abbandono. Per interpretarlo ho dovuto trovare il minimo comun denominatore tra noi due, per legare due mondi così diversi, e l’ho trovato nel senso di ‘inappartenenza’, di inadeguatezza che anche io provo: ho spesso la sensazione di non essere nel posto giusto…

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