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Quale malattia

Quale malattia

L’amore e la storia dell’amore
Tra divertenti commedie e atipici mafia movie, Mike Newell racconta storie melò dove il lieto fine è spesso adombrato da un’intensa malinconia: d’altronde, se di melodramma si tratta, le conclusioni felici non possono essere parte del genere.
L’amore ai tempi del colera si dipana a cavallo tra ’800 e ’900, mentre usi e costumi cambiano l’ambiente circostante, lasciando intatti i caratteri dei personaggi. L’amore di Florentino è in tutto e per tutto una fantasia letteraria: nata da uno sguardo fugace e alimentata dal potere poetico della scrittura, la passione del giovane, poi adulto, poi anziano, vive di parole belle e forme stilistiche di maniera.

Artistico nell’incarnare con la sua vita il potere dell’amore, Florentino vive e sperimenta i turbamenti e le follie della malattia d’amore, descritta con i sintomi stessi del colera. Ma anche a causa di questa sua totale dedizione a un sentimento assoluto e “di carta”, Ariza è un personaggio in gabbia: spesso inquadrato dietro grate, attorniato da volatili, assente e disperso, poco padrone della sua vita, il protagonista subisce volutamente l’attesa dolorosa e i passatempi amorosi. E sarà proprio un pappagallo fuggito a trascinare il marito di Fermina nella tomba.

Ma infine esiste una riconciliazione dei personaggi con l’amore? Se il compimento avviene su un battello lungo il fiume, in un luogo di quarantena dove “la malattia” ha infettato l’equipaggio, quanto può essere reale il lieto fine di questa storia d’amore?

Folli e malati d’amore
Florentino diviene quasi per caso un instancabile Don Giovanni, quando, per la prima volta, una donna (e sempre su un battello) gli si avventa contro strappandogli quella verginità che desiderava (irrealisticamente) conservare per Fermina.
Questa figura femminile ambigua, di cui non si ha alcuna certezza, è il primo elemento di una pazzia che poi contagia tutto il film, virando improvvisamente il tono in un illogico cambio di genere: dal melodramma romantico alla commedia atipica.

In ogni caso, dalla madre di Florentino alla vedova rimasta senza casa a causa della guerra, le donne di Florentino appaiono tutte quante eccessive, maschere (la madre nella sua follia si trucca il volto come un clown), quasi figure impossibili, forse scaturite dall’immaginazione di Ariza, contagiate in certi attimi dall’irrazionalità di Underground (id., Emir Kosturica, 1995).

L’unica fugura femminile che poco si lascia contagiare dal morbo è proprio Fermina che, in una tinozza d’acqua insieme alla cugina, scopre il segreto della vita: essere felici senza amore.
Ed è proprio quello che si propone di fare quando abbandona l’idea fumosa, romantica e poco concreta di un amore acerbo e folle, per una vita gioiosa, matura e radicata con Urbino. Il dottor Urbino, colui che ha aiutato a guarire gli uomini e le donne della città dal flagello del colera.

Fermina ama farsi fotografare in abiti importanti, ma si annoia al cinema; sposa un marito dottore e traditore, ma ama la vita nella selvaggia tenuta dei parenti; si fa guidare dalla zia in tutto e per tutto, salvo poi venire influenzata dalle parole della cugina. Per poi concludere la sua vita tra le braccia di un insistente amante d’ombra.

Nelle sue contraddizioni, Fermina è un personaggio estremamente razionale, quasi freddo, che non si abbandona mai alla malattia, che vive nel riflesso della cugina Hildebranda, donna libera perchè non schiava dell’amore.
Alla fine, forse, entrambi gli innamorati finiscono ingabbiati da un destino grande come il mare, sopra un battello, a immaginare un impossibile finale conciliatorio.

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