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Di nascondiglio ce n’è uno solo…

Di nascondiglio ce n’è uno solo...

Dopo oltre trent’anni dalla sua ultima visitazione al cinema horror (La casa delle finestre che ridono, 1976) e a undici dall’enigmatico L’arcano incantatore (id., 1996) Avati ritorna con una nuova storia al cui centro sta, ancora una volta, una casa. Questa volta però non sono le finestre l’elemento inquietante, ma tutta Snake House – questo il nome della sinistra residenza – al cui interno si aggira una spaventosa creatura dall’aspetto vagamente umano.

La rappresentazione dell’oggetto orrorifico ci suggerisce un Avati debitore di certo cinema giapponese di recente produzione: qualche movenza in stile Samara Morgan di The Ring (id., Gore Verbinsky, 2002) e una vocalità che rimanda agli agghiaccianti suoni di The Grudge (id.,Takashi Shimizu, 2004), sono qualcosa di già visto, appartenente un genere cinematografico preciso. Non per questo ne va della qualità dell’opera di Avati, che si inserisce appunto in un filone rispettandone le più recenti categorie.

The Hideout può contare inoltre su dei dialoghi ben orchestrati, capaci di dare maggiore profondità a quanto scorre sotto gli occhi dello spettatore: la sensazione, di conseguenza, è quella di trovarsi più di fronte a un thriller psicologico che non a una pellicola horror-splatter (le scene di sangue non sono poi molte).

Purtroppo la recitazione di Laura Morante non è all’altezza della situazione, rendendo il personaggio della protagonista a tratti persino stucchevole.
La sua ossessione mentale, le voci che la tormentavano prima di essere ricoverata e che la permanenza a Snake House fa riemergere non sembrano sconvolgerla così come sarebbe stato ipotizzabile, facendole pagare lo scotto di una personificazione attoriale decisamente più idonea a una fiction televisiva, dove ritmi e respiro recitativo sono più distribuiti e rallentati nel tempo.

L’ultima fatica di Avati portà in sé tanti elementi (sceneggiatura, capacità tecnica e passione del regista) di valido impatto, ma in sostanza quello che ne esce non convince fino in fondo, facendo di The Hideout l’ennesima opera incompiuta del cinema italiano.

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