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Più autori, più talenti

Più autori, più talenti

I Wu Ming hanno la Storia nel sangue. Come un ossigeno creativo di base, per il quale il resoconto del dato periodo è necessaria. Hanno personaggi che rimangono e un linguaggio che, a poco a poco, si costruisce attorno un valido alone di suggestione e “convincimento”.
Ci sono voluti cinque anni, si vocifera. Sono andanti lenti, ma sono andati precisi.
Nell’opera ci sono un prologo classico, che anticipa e giustifica, e un epilogo, che va al di là della sua semplice funzione. Infatti, non solo chiude il libro, ma chiude anche un’epoca. Mancavano occhi per vedere e mani per scrivere e raccontare gli anni intorno al 1775. Naturalmente non si tratta di un comune resoconto: è un libro a incastri, costruito magistralmente, pur attorno ad un numero complesso di personaggi.

Colonnelli inglesi, famiglie di coloni storici, fittavoli razzisti, capi indiani, traditori e bambine.
E’ una vicenda composita che può in principio frastornare per la strutturale polifonia. La bravura dei Wu Ming sta anche in questo: far capire chiaramente al lettore quali sono state le loro scelte; quali i loro sì e i loro no. Non ci sono dei forse. Non ci sono figure lasciate a metà, né per assassinio né per obblighi di trama. Chi entra nella vicenda non ne esce, se non dopo aver dimostrato cosa veramente è e fa per essere arrivato lì.
Così una dignità, un onore sacrale da pellerossa, aleggiano sui protagonisti, pur nelle debolezze delle circostanze e nella stoltezza, dal loro punto di vista, della Storia. Infatti, la vita ritratta in Manituana, la terra leggendaria in cui tutti gli essere viventi sopravvivono in armonia, sta dalla parte di chi perderà. I cosiddetti Lealisti, i coloni inglesi fedeli al loro Re, sono destinati ad essere uccisi, cacciati o convertiti al credo indipendentista. Una scelta, come detto, “sbagliata”, che aggiunge valore alla storicità del romanzo.
Sorprende la nutrita presenza della guerra. Stupisce per come è presente. Quasi di sottofondo, quasi silenziosa. Non c’è attesa roboante per gli scontri, ci sono riflessioni e rassegnazione. Un implicito giudizio triste su un pezzo di mondo possibile che tramonta e scompare per sempre. L’inesorabilità si esplica in un linguaggio davvero piano, con incipit armoniosi “da campo lungo”, lunghissimo. In effetti, gli autori ci hanno lavorato, sul linguaggio, con un investimento di costante e ostinata ricerca. E’ così, forse, che è nata la parte centrale del libro, intitolata Mohock Club, dal nome della tribù Mohawk storpiato dai londinesi. Ed è proprio Londra al centro di questa parte, in cui grandiosi ragionamenti permeano gli occhi accecati, dallo sfarzo così come dallo spreco, dei nativi giunti in visita. Parallela si snoda l’esperienza, grottesca e linguistica, degli Indiani di Londra, un gruppo di ragazzacci violenti che i Wu Ming ammantano del linguaggio di incredibile fantasia ed efficacia dei Drughi di Anthony Burgess e della sua Arancia meccanica, cui è fatto senza dubbio un audace omaggio.

La politica è poi un’altra importante regione di Manituana, che i Wu Ming esplorano a loro modo: partendo dalla psicologia del politicante, per svelare come e cosa farà. La diplomazia fu vitale in quel periodo di facili faide tra tribù e tra vicini di fattoria con idee diverse: i personaggi che se ne occupano hanno tutta l’incertezza di chi possiede un potere speciale, tutto lo sconcerto per chi ha nelle mani un mondo che cambia per forza.
Manituana è anche un romanzo storico. Un libro che alterna briglie sciolte su leggende dense e fortemente allegoriche, a crude realtà che terminano, a mondi forse migliori che si accorgono di essere spacciati, con gli uomini, dentro, che possono solo continuare a dire la propria esistenza.

L’autore
Wu Ming è il nome collettivo usato da un gruppo di scrittori formatosi all’interno della sezione bolognese del Luther Blissett Project. Il primo romanzo pubblicato dal gruppo, con il nome di Luther Blisset, è Q (Einaudi, 1999). Sono seguiti Asce di guerra (2000), 54 (Einaudi, 2002), e le raccolte di articoli e scritti vari Esta revolucion no tiene rostro (Aquarela, 2002) e Giap! (Einaudi, 2003).

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