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Uno scandalo senza il diario

Uno scandalo senza il diario

Scrivere la critica di certi film è come sparare sulla Croce Rossa: quasi non si vorrebbe, perché fa male anche a chi lo fa, è un rinnovare il patimento infinito già subito durante la visione della pellicola. Ma qualcuno deve pur farlo, se non altro con lo spirito della salvazione, dell’altruismo, della pietas cinematografica. In poche parole, non vedete questo film. Mai, neanche quando sarà uscito in dvd, quando sarà una piovosa serata novembrina, lo scaffale della videoteca sotto casa vostra sarà vuoto, e avendo deciso di vedere un film a tutti i costi vi direte “perché no?”. Perché no. Perché è terribile che venga prodotta e distribuita una pellicola come Cardiofitness, probabile storia di una improbabile ventisettenne e dei suoi improbabilissimi dialoghi con le altrettanto improbabili amichette del cuore. Ma di che cosa vuole parlare questo film? «Del coraggio di portare avanti le proprie scelte in una società fondata sui pregiudizi», dice il regista Fabio Tagliavia. Ah.

Uno sguardo superficiale su un mondo superficiale, ecco di che si tratta: la superficialità elevata al cubo, la retorica del sentimento facile, quello che sembra portare gran travaglio a chi lo prova ma che si risolve con due frasette sul diario e un «lancio il reggiseno in pubblico così tutti sapranno che ti amo». Ottantadue minuti di pellicola che sembrano centoventi: se vogliamo abbandonarci all’idiozia, facciamo almeno che il pubblico si diverta. Ma qui non si ride proprio. Non si è capito se la linea comica sia affidata al personaggio del padre fricchettone (come se un quarantenne che si fa una canna facesse notizia) o a quello del cugino sessuomane (ma dai? A quindici anni…). Forse all’amica che ha scoperto il «rossetto color melanzana a prova di pompino»? La noia avanza. Risuonano in testa le parole di Tarantino, e come no, del resto? Probabilmente in Italia è così difficile fare cinema che quando ti propongono un film, lo accetti a prescindere. Bisogna pur sopravvivere, è vero. Però una cosa è il compromesso, un’altra sputtanarsi il nome. Questa è un’opera prima, e credo che la cosa si commenti da sé.

In ogni caso, è perfettamente inutile accanirsi contro un’operazione commerciale mal riuscita. Insulsi i dialoghi, inutili le scene di pseudo-sesso, insopportabile il broncio di Costantini, inverosimile a tratti la sceneggiatura, agghiacciante il freeze finale. E’ un manifesto dell’epoca in cui viviamo, ha scritto qualcuno: se viviamo in un’epoca imbecille, che almeno il cinema la ritragga con intelligenza e ironia. Ma forse aveva ragione Cocteau: il dramma della nostra epoca è che la stupidità si è messa a pensare.

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