hideout

cultura dell'immagine e della parola

Primavera dell’umanità

Primavera dell'umanità

Un film paradigmatico, capace di riassumere in sé tutta la cultura e lo stile di vita di un continente. Una storia semplice, capace di mantenere lo spettatore in costante tensione grazie ad accorgimenti derivanti da una sensibilità particolare, a cui l’Occidente non è abituato. L’ultimo lavoro del regista ciadiano Mahamat Saleh, presentato in anteprima venerdì 17 novembre in occasione dell’inaugurazione della 26ma rassegna di cinema africano di Verona, esprime con evidenza la sensibilità africana.

Un film a tratti lento, ma sempre coinvolgente; dialoghi minimi e colonna sonora impercettibile. La critica lo ha accostato ai lavori di Michelangelo Antonioni, ma Mahamat Saleh rifiuta i paragoni. Il ritmo del film non è frutto di una ricerca scientifica o di un’elaborazione teorica; ripropone il tempo africano, estraneo alla frenesia occidentale.
Il regista non si interessa al cambiamento, al momento della felicità e della prosperità. Mahamat Saleh indaga i drammi della quotidianità africana. Una realtà infestata dalla violenza e dalle armi. La macchina da presa indugia spesso sulla pistola di Atim e sulla collezione di kalashnikov di Nassara. I personaggi sono stati segnati dalla guerra civile e provano a recuperare la normalità attraverso la preghiera e il lavoro. Ma nemmeno Dio sembra disposto a occuparsi di questo angolo del mondo. Di conseguenza la redenzione passa attraverso il sudore e la fatica dell’occupazione al forno di Nassara. Il vecchio ha trovato nel pane, bene primario per eccellenza, il suo riscatto. Atim, durante le ore trascorse davanti al forno, capirà l’importanza della fatica e del saper ammettere i propri errori.

Il motivo di fondo è la mancanza, declinata in ogni particolare. Il titolo richiama la siccità che affligge l’Africa, la scarsezza di acqua. Ogni personaggio ha perso qualcosa. Atim, il giovane protagonista è un orfano; suo nonno è cieco; Nassara non ha la voce e sua moglie perderà il bimbo che porta in grembo. È la povertà, la costante condizione di difficoltà in cui tutto il continente nero vive quotidianamente. Ma la stagione delle piogge torna ogni anno e la terra rifiorisce. E dal giardino dei popoli africani, rinsecchito dalle continue guerre fratricide, sboccerà il fiore più prezioso, quello dell’umanità. Un messaggio di speranza, parola chiave della serie di incontri proposti dalla rassegna veronese.

Curiosità
Il film ha vinto il premio speciale della Giuria e menzione speciale della Giuria Sisgnis alla 63ma Mostra di Venezia. Il regista ha affermato di aver scelto l’attore protagonista Ali Bacha Barkai perché durante il casting ha dichiarato di essere affascinato dai Fiori del male di Baudelaire.

Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento!

«

»