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I gufi non sono quello che sembrano

I gufi non sono quello che sembrano

A Melbourne, Australia, i gufi non sono quello che sembrano. Memori di questo messaggio arrivato dallo spazio per l’agente Cooper nella serie cult Twin Peaks, molti cuori potranno sussultare nell’assistere alla prima scena di Le verità supposte. Una disegnatrice, Susan Sarandon, seduta nel suo studio, colora un gufo inserito dentro una clessidra, alla parete sono appesi disegni di gufi, sparsi dappertutto si trovano vasi dalle fattezze di gufo, brocche gufose e sulla scrivania campeggia un porta inchiostro d’argento, neanche a dirlo, a forma di gufo.
Tutto è presagio, tutto nasconde un segreto. Ma questo promettente inizio non mantiene le promesse e quello che poteva essere un bel thriller di ambientazione familiare si trasforma in una soap opera piatta e scontata.

La regista Ann Turner ce la mette tutta per farci entrare nella mente di Sophie, la sua protagonista, ma è difficile immedesimarsi in questa storia. Nella prima scena ci si preoccupa per un ferro da stiro lasciato acceso, che poi si rivela spento, e della porta di una dispensa che non vuole rimanere chiusa. Ci saranno dei fantasmi?
Chissà. Ma nel frattempo Sophie è a una festa e sta ballando con Mara, la bella collega di lavoro del marito. Che stia per iniziare una svolta erotica da scambio di coppia?
Neanche il tempo di rendersene conto e ci si ritrova di fronte alla critica sociale contro la guerra nel Kosovo, piccola sferzata della trama forse voluta dalla stessa Susan Sarandon che si sa, a queste cose ci tiene. Il senso dell’orientamento vacilla pericolosamente: ci troviamo di fronte a un thriller soprannaturale, ad un noir erotico o a un dramma familiare? Ed è in quel momento che, forse per empatia con gli spettatori, anche Sophie perde la bussola e viene considerata pazza da tutti, marito compreso.
Le verità negate è un film che poteva essere, ma non è. Un film che non riesce a mantenere lo svolgimento delle azioni su di un piano unitario, suggerendo continuamente nuove trame che non esistono, dimenticandosi di sviluppare adeguatamente l’azione principale.

L’australiana Ann Turner aveva debuttato nel 1989 con il film Un brutto sogno (Celia, 1989) con il quale vinse l’International Women’s Film Festival di Creteil. Al centro di quella vicenda c’era una bambina che aveva efferate fantasie causate da una famiglia repressiva. La regista avrebbe quindi una certa dimestichezza nel raccontare drammi familiari e virarli al nero, ma in questo caso non riesce a mantenere unita la matassa dei fili usando uno stile piato e televisivo, tanto che diventa facile per chi ha visto qualche puntata di Beautiful capire “le verità negate” che si nascondono nel passato di Sophie. Ed è un peccato perché l’idea c’era e le atmosfere pure, ma il tutto si perde in un vaso a forma di gufo.

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