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I soliti soliti sospetti

I soliti soliti sospetti

Cosa pensare di un film realizzato nel 2005 ma uscito in sala solo oggi? Non si deve trattare di un’opera epocale che tutti smaniano di vedere, evidentemente. E in effetti…
Sembra che, per alcuni produttori, il cinema sia diventato come il maiale: non si butta via niente!
La carenza di idee spinge a riciclare vecchi soggetti di successo. In questo caso il modello, palese anche se non dichiarato, è quello dei I soliti sospetti (The Usual Suspects, Bryan Singer, 1995). La storia è raccontata in flashback da un personaggio sotto interrogatorio, un misterioso boss del crimine dall’identità segreta, Danny Lewton, che prende il posto del Kaiser Soze del film di Singer. Tutto sembra ricalcare la struttura narrativa di quell’opera. Forse si pensa che il pubblico medio se ne sia già dimenticato dopo dieci anni?

Nella migliore tradizione della letteratura hard-boiled, quella di Chandler e Hammett, Doppia ipotesi per un delitto si basa su continui colpi di scena e su personaggi ambigui: nessuno è quello che sembra essere, a cominciare dalla bella Nora che riveste il ruolo della classica dark lady. Ma siamo lontanissimi dal cinema di un Mamet, citato come modello dal regista Wayne Beach, e il tutto appare farraginoso e poco credibile.
Che dire poi del camaleonte, trovato nella teca di un appartamento del boss, a simboleggiare il trasformismo dei personaggi? Complimenti, davvero una metafora elegante e sottile! E che perdipiù viene spiegata, scadendo così nel didascalico.

Unico spunto di interesse il tema dell’identità razziale e dei rapporti di classe nell’America contemporanea. La femme fatale è ambigua anche nel colore della pelle: nera ma sbiadita, si appresta a diventare sempre più bianca, un po’ come Michael Jackson.

Curiosità
Esordio alla regia per Wayne Beach che ha al suo attivo alcune sceneggiature di successo, come quella di Delitto alla Casa Bianca (Murder at 1600, Dwight H. Little, 1997) con Wesley Snipes. Buono il lavoro del direttore della fotografia, Wally Pfister, che ricrea il clima cupo di altri suoi lavori come Memento (id., Christopher Nolan, 2000) e Insomnia (id., Christopher Nolan, 2001).
Interessante anche la scelta di utilizzare Montreal come location, per una non definita metropoli americana media, dove i nuovi palazzi stanno soffocando quelli storici.

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