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Il vitalismo del politicamente scorretto

Il vitalismo del politicamente scorretto

Tutto comincia con un condannato a morte cui viene revocata l’esecuzione perché il suo ultimo desiderio, che è un suo diritto, contrasta con il regolamento carcerario. Vuole fumarsi un’ultima sigaretta, ma non è possibile fumare all’interno del carcere. Nient’altro che un ultimo desiderio. Poi un uomo di mezza età si nasconde a fumare una sigaretta in un cesso al quarto piano dell’amministrazione comunale per sfuggire alle rigide restrizioni che ormai vigono su tutta la città, e poco dopo viene accusato di “crimini contro l’infanzia” (la parola pedofilia è stata abolita perché ritenuta troppo compiacente con i criminali). Il turning point del romanzo di Duteurtre suona molto kafkiano, se non fosse che il municipio, lungi dall’essere paragonabile ai labirintici meandri in cui (non) si muove Il processo, è stato trasformato in una sorta di asilo nido. Questo da quando il sindaco ha deciso di convertire metà degli edifici della città amministrativa in giardini per l’infanzia. Non è un caso che in quella società i bambini rappresentino la legge, e il potere è saldamente nelle loro mani unte e mollicce.

Man mano che andiamo avanti nella lettura di questa divertente commedia inumana, ci rendiamo conto di essere scaraventati in un futuro ipotetico, in un futuro che dei nostri tanti futuri possibili è forse quello più atroce, dal latino ater, “scuro”, sul quale risplende il sole nero della malinconia, e paradossale, in un’atmosfera dominata da una nostalgia molto quarantenne per i bei tempi andati e l’angoscia per la morte che si avvicina sempre più rapida. È di questi esserini deboli e indifesi che lo scrittore vuole prendersi cura, degli uomini di mezza età e delle loro vite in bilico tra la sopravvivenza e il fallimento. E non è strano che in questo mondo parallelo alla rovescia l’ingerenza della televisione nella vita di tutti faccia girare le cose al contrario; così può capitare che un brillante funzionario in carriera venga condannato, mentre a un presunto assassino figlio dei fiori viene resa la grazia perché ha furbescamente lanciato in mondovisione il messaggio che rincuora: “Viva la vita”.

Il finale ci coglie impreparati (ci stronca, direi), all’apice della tensione narrativa, come se noi stessi sperimentassimo la condanna del protagonista, e ci lascia addosso una serie di domande sulle quali varrebbe la pena riflettere.
È ancora possibile un inno alla vita in un mondo dove la scelta tra la vita e la morte, tra il bene e il male, è legata alle votazione di un aberrante reality show fondamentalista chiamato l’Accademia del martirio, condotto da improbabili terroristi travestiti da John Wayne?
Veramente nessuna ribellione è possibile in una società in cui “they say jump, you say how high”?
E infine, detto questo: “did you exchange a walk on part on the war from a lead role in a cage”?
Questo è un libro per chi ama i piaceri della vita e le piccole libertà cui non vuole rinunciare. Un romanzo satirico pungente e paradossale, che fa ridere e fa paura. Un libro per chi non si sente in colpa, una volta ogni tanto, ad odiare i diabolici mocciosi… altro che angioletti!

L’autore
Benoît Duteurtre è nato nel 1960 a Sainte-Adresse, nei pressi di Le Havre. È autore di romanzi e racconti, critico e produttore musicale, conduttore radiofonico e agitatore culturale.

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