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Quando il Sole abbaglia

Quando il Sole abbaglia

Ancora una escursione, per Danny Boyle e lo sceneggiatore Alex Garland, nel cinema di genere. Se il precedente 28 giorni dopo (28 Days Later…, 2002)era un film di zombie in puro stile romeriano, Sunshine si adegua fedelmente ai canoni di un determinato sottogenere di fantascienza, la cosiddetta space opera che fornisce una visione futuribile del genere umano alla conquista dello spazio, saldamente ancorata a solide basi astronomiche e tecnologiche. “Più NASA, meno guerre stellari” è il motto del regista che si avvale di consulenti scientifici di primo piano e, addirittura, manda gli attori del film a trascorrere alcuni mesi nei loro istituti di ricerca, al fine di compiere il loro lavoro stanislavskijano sul personaggio.

Evidente l’influenza di alcuni storici scrittori di fantascienza, Arthur C. Clarke in particolare, che fu cosceneggiatore di 2001 Odissea nello spazio (2001: A Space Odyssey, Stanley Kubrick, 1968), così come di molto cinema di quel tipo. 2001 naturalmente fornisce molti spunti narrativi, ma anche il suo seguito, 2010 – L’anno del contatto (2010, Peter Hyams, 1984), anch’esso sceneggiato da Clarke, Silent running (id., Douglas Trumbull, 1972, per le serre) e i più recenti Punto di non ritorno (Event Horizon, Paul W.S. Anderson, 1997) e Mission to Mars (id., Brian De Palma, 2000). Gli astronauti occidentali e orientali delle due Icarus potrebbero ricordare agli appassionati l’equipaggio multietnico di Star Trek, ma probabilmente sono semplicemente l’indice del fatto che i paesi asiatici saranno le superpotenze del futuro.
Boyle fa grande uso di inquadrature oblique e grandangoli, in modo da rendere il senso di claustrofobia all’interno della nave spaziale. Anche in questo dimostra di aver imparato la lezione di Alien (id., Ridley Scott, 1979), Solaris (Solyaris, Andrei Tarkovsky, 1972) e del solito 2001.

La space opera era un genere molto in voga negli anni cinquanta e sessanta, epoca in cui la conquista dello spazio esercitava una grande fascinazione nel pubblico: 2001 anticipò di un anno l’allunaggio dell’Apollo 11. Ormai però si tratta di un genere obsoleto, che ha perso tutto il suo potere di suggestione. Che senso ha riproporlo? Riprenderne tutti gli stereotipi, senza attualizzarli, se non con nuovi e mirabolanti effetti speciali, non può che generare qualcosa di freddo e insipido. Ma non è solo l’anacronismo a insabbiare un film con dei difetti intrinseci: manca il ritmo e l’interesse dello spettatore si perde ben presto, annegando in situazioni contorte e cerebrali. E poi se proprio dobbiamo tirare in ballo 2001, dov’è il silenzio dello spazio profondo e la sua poesia, come in quel grande capolavoro?
Regista dalle alterne prove, Boyle fatica a trovare un proprio percorso autoriale.

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