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Terrorismo interno

Terrorismo interno

Terzo capitolo della trilogia firmata Per Fly. L’indagine minuziosa sui vizi e le virtù delle classi sociali danesi si chiude con un’opera dalla tematica scomoda ma attuale: il terrorismo interno, la vis politica, e il soggettivismo che porta al tracollo.
Tre opere: La panchina, L’eredità, infine Gli innocenti.
Tre ritratti, tre uomini, tre destini, tre metodi relazionali diversi. Tre soggetti e la realtà come unica inequivocabile legge che regola vite e decisioni. Il cuore del neorealismo nordico toccato con forza e convinzione. Vige la lectio bergmaniana, ma epurata di ogni substrato psicanalitico, vige il tributo al Dogma di Lars Von Trier.

Jesper Christensen come protagonista di questa nuova storia. Il suo personaggio: Carlsten, fascionoso e attempato professore di liceo dal pensiero politico sovversivo. La storia di un amore straziante, il suo per Pil, ex studentessa nonché attivista ai limiti del terrorismo. Un incidente, o meglio: un omicidio volontario relega Pil in prigione. La sua mancata confessione, sotto pressante consiglio dell’amante, le ridarà la libertà. La libertà scaverà nei suoi sensi di colpa. L’incubo, e il peso di una vita strappata si incarneranno demoni.
Una crescente perdita d’identità per Carlsten, colpevole d’aver ceduto al proprio “egoismo d’amore”, colpevole d’aver protetto un’omicida. Confusione per Pil. Colpa, incarnata dalla moglie della vittima, disperata maschera in caccia di verità. Eversione come potere che pervade anche il mondo degli affetti. Incertezza come risultato di scelte sbagliate.

Ritratto ben riuscito di un uomo sull’orlo dell’autodistruzione (grandissima prova attoriale di Christensen) che tuttavia perde di vigore rispetto al suo predecessore L’eredità, opera più vicina a Dogma 95 ma non meno priva di pathos. Un tentato approccio psicanalitico, incarnato nel sogno ricorrente del parapendio che prende fuoco, si rivela purtroppo superficiale, ben distante dal sublime insegnamento Bergmaniano. La metafora tituba con accezioni talvolta scontate, perdendo di incisività. Un ibridismo eccessivamente compiaciuto, tra neorealismo e cinema dell’anima, allontana il film da entrambi i filoni senza trovare una forte collocazione propria. Sembra lontana la terribile e cruda realtà del Festen di Vintemberg, altrettanto il meccanico e crescente gelo dell’anima che attanaglia Christopher ne L’eredità.
Meritevole comunque la trilogia nel suo complesso e, come sempre Per Fly.

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