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Onore o odio?

Onore o  odio?

Non c’è gloria nel sangue
A volte è triste osservare come la Storia, e l’esperienza che da essa stessa proviene, a nulla serva se non a renderci più ciechi. Zack Snyder, regista di quest’inguardabile best seller del momento, in più interviste dichiara di aver portato sugli schermi lo spirito della graphic novel di Miller, quasi mosso da uno spirito ludico: dato per certo che, ricordando così nettamente uno dei tanti videogames splatter in circolazione, il secondo aspetto sia assodato, è difficile credere che si possa anche solo immaginare 300 come un divertissement. Serse e Leonida, il primo che cammina sui sudditi in ginocchio, il secondo che, in ginocchio, si fa usare come trampolino per innescare l’ennesima catena di uccisioni dei suoi, appaiono come due lati della stessa, tremenda, pericolosissima medaglia. In un mondo ancora – e purtroppo – preda di tensioni razziali, timori culturali e differenze sociali, imbastire una sorta di flipper sadico basato sul concetto “il diverso è il male”, appare quanto mai discutibile. A questo si aggiungano un citazionismo spesso fuori luogo – dalla trilogia de Il Signore degli Anelli
al Il Gladiatore (Gladiator, R. Scott, Usa, 2000), da Hero (Ying xiong, Z. Yimou, Cina, 2002) a Braveheart (id., M. Gibson, Usa, 1995) -, macchiette spacciate per personaggi, dialoghi a sfiorare il ridicolo, e poco resta, se non sperare che, almeno, il pubblico possa non prendere sul serio un prodotto come questo. Nel corso della pellicola assistiamo, oltre al sistematico utilizzo della slow motion a catturare le più cruente scene di battaglia, all’abuso sconsiderato di una parola – libertà – che viene spesso e volentieri associata all’uccisione senza pietà del nemico o ad una morte onorevole consumata sul campo di battaglia. La libertà sta anche nel pensare che possa essere quella. Ma, per quanto ci si sforzi di cercarla, di quella con la L maiuscola, non se ne vede alcuna traccia.

Odio come unica risposta
Tralasciando le spesso strumentalizzate politicizzazioni di questa già troppo chiacchierata pellicola, la semplice presa di coscienza rispetto allo script, alle situazioni, allo sviluppo dei protagonisti, porta ad indicare l’odio, viscerale e senza riserve, verso tutto ciò che, dall’esterno, minaccia, culturalmente o fisicamente, lo stato delle cose. Pur ammettendo che i tempi di cui si parla fossero profondamente diversi (?) dai nostri, è difficile poter pensare che sia onorevole un capitano che porta alla morte il figlio, non preoccupandosene perchè gli altri suoi figli rimangono salvi a Sparta, disperandosi poi per quella perdita annunciata e riempiendo il suo cuore di odio; difficile credere a parole di libertà di una regina che si proclama donna del popolo e zittisce il suo avversario politico trafiggendolo con una spada; difficile credere a un manipolo di “eroi” fisicamente perfetti e mentalmente annullati pronti a debellare la minaccia di effeminati e freaks provenienti dalle più disparate regioni del vastissimo impero persiano. Il valore, storico e umano, dell’impresa militare di Leonida e dei suoi opliti non solo è svilito, ma vilipeso, da questo scempio cinematografico e ideologico.
In tempi certo diversi, ma non meno importanti, un certo Gandhi cambiò le sorti di un intero paese senza alzare un dito. Fabrizio DeAndrè, interpretando al meglio la figura di Gesù, cantava “Nella pietà che non cede al rancore, madre, ho imparato l’amore”. Clint Eastwood, con Flags of our fathers (id, Usa, 2006) e Letters from Iwo Jima (id, Usa, 2007), ha mostrato, con un filo di voce, quanto terrificante sia l’odio nascosto nelle guerre, politiche e militari. Il nostro mondo sarà un posto migliore quando riusciremo a crescere figli senza dei Leonida e dei Serse pronti a portarli in guerra, senza imperi pronti a colonizzare il mondo e senza città come Sparta, che crescono i bambini come militari professionisti.
Il buon Zack Snyder, prima di mettersi ancora dietro la macchina da presa, torni a confrontarsi con E Johnny prese il fucile (Johnny Got His Gun, Dalton Trumbo, 1971). Potrebbe servire.
Dilios/David Wenham, narratore della pellicola, incita i suoi prima della battaglia di Platea a difendere la libertà “contro i misticismi e la tirannia”. Detto da gente che gettava dalla rupe i bambini nati con qualsivoglia handicap, è quasi fantascienza. Ma chissà!? Forse è qui che voleva arrivare questo film.

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