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L’ombra di un libro

L’ombra di un libro

Questa è l’opera prima di uno che di mestiere non fa lo scrittore. O almeno non a parole, perché Andrea De Carlo, omonimo del suo più famoso collega, scrive musica. Apro questo libro, lo sfoglio, lascio scorrere la carta tra le dita, e ancora non riesco a capire che cos’è. “Né carne né pesce né altro” diceva John Fante. Certo, che De Carlo sia un musicista lo si potrebbe anche notare fin dalle prime righe di questa raccolta di racconti. L’ombra del mare è fin dall’inizio un testo musicale, melodico e decisamente fluido. Fluido sopra ogni cosa, tant’è che nel tentativo di creare un flusso di coscienza permanente e in divenire, l’autore abolisce la punteggiatura. Perfino i discorsi diretti non recano segni d’interpunzione e sono separati dal resto solo attraverso l’uso ricorrente di virgole che ricorrono sempre. E si rincorrono, fino a rendere difficoltosa e disarticolata una lettura che mirava, a mio modo di vedere, alla “scioglievolezza”. Il dedalo di subordinate, l’uso quasi ossessivo dell’ipotassi e questi periodi lunghissimi appesantiscono il testo dissipandone il senso e provocando dei mostruosi cali di concentrazione del lettore. Continuando sulla scia del citazionismo vorrei ricordare come Cioran affermasse che una poesia in prosa non vale niente, e allo stesso modo una prosa troppo lirica non funziona. La ricercatezza lessicale cozza con l’effetto di realtà tipico del flusso, annullando la pretesa di ricreare il parlato. L’innovazione non sempre paga, e spesso si rivela essere un errore formale bello e buono.

Ma è ora di darci un taglio coi tecnicismi e passare alle storie, che poi è l’iter naturale della recensione. Ma quali storie? Dov’è la narrativa? Uomini grigi, smunti, soli, stanchi, morti e debosciati. E le loro vite metafisiche. C’è troppo Io in questo libro, come una sorta di diario segreto in frammenti. E c’è altrettanto troppo concetto: è concettuoso, se mi permettete il neologismo. Qualche buono spunto lo si può pure trovare – quell’ombra inserita fin dal titolo è quanto mai azzeccata – ma si tratta perlopiù di abbozzi di un pensiero spesso ingenuo e infecondo mascherati da racconto, che nemmeno si avvicinano alle pungenti verità proposte nei ricordi sotterranei di Dostoevskij. Rimane così in un limbo d’irriconoscibilità, come avvolto da una nebbiolina lattiginosa, o dai vapori del mare. Qualcun altro forse direbbe “intimista e delicato”. Ma quel che vi posso dire io è che proprio non mi è piaciuto. Sarò forse andato incontro ad un misunderstanding autoriale; o magari sarà perché conoscevo una ragazza con velleità letterarie che scriveva, e forse scrive ancora, in questo stesso modo, e non mi è mai andato giù. Ma in fondo questo non ha molto senso per definire il mio giudizio, e men che meno ha molta importanza.

L’autore
Andrea De Carlo, nato a Roma nel 1963, vanta un curriculum alquanto originale. Laureato in Fisica presso la Sapienza di Roma, ha scelto la musica come sua attività principale. Dopo alcuni anni come contrabbassista jazz, si è dedicato alla musica classica e poi a quella antica, facendo della viola da gamba il suo strumento principale, con il quale svolge un’intensa attività concertistica e discografica in tutto il mondo. Questa è la sua prima opera narrativa.

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