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Gioventù interrotta

Gioventù interrotta

Un titolo oscuro quanto semplice: Alpha Dog. Per sopravvivere nella cruda realtà quotidiana devi comportarti come un mastino. Per primeggiare devi essere leader, un numero uno, un individuo alpha. Peccato che di degrado e povertà non si parli. Nick Cassavetes ci trascina alle porte di Los Angeles, in eleganti quartieri bianchi middle class dove un gruppo di ventenni “fatti” e “soddisfatti” consuma la propria esistenza in festini a suon di alcol e marijuana, ville con piscina e, per paradossale contrasto, in gang dal gusto rappettaro con l’arte dello spaccio.
Invenzione? Esagerazione? No. Una storia realmente accaduta che per i suoi risvolti insensati quanto superflui inquieta più di un film dell’orrore. Un rapimento, alla base della tragedia. Una ragazzata, come molti la definirebbero, che segnerà indissolubilmente le vite dei protagonisti.

Johnnie Truelove, feroce capetto di una banda di spacciatori, rapisce il fratello quindicenne di un suo debitore, affidandolo poi alle cure dell’amico Frankie (Justin Timberlake). Tragedia? All’inizio no. Il ragazzino, in piena crisi adolescenziale, si addentra con piacevolezza nel mondo dei suoi rapitori che, come fratelli maggiori, gli insegnano l’arte della “bell’esperienza”, condita di sballo amicale e incontri amorosi con biondine tutto pepe. Un gioco a diventar grande, per lui. Un goliardico pasticcio risolvibile, almeno inizialmente, per Frankie. Un problema da eliminare, per Johnnie Truelove. Una miriade di punti di vista diversi che si compenetrano rendendo torbide le decisioni e il corso degli eventi. Il confine di non ritorno, quello in cui ci si accorge di aver varcato la soglia dell’illecito. Il momento in cui si sommano caoticamente scelte sbagliate, quello in cui si inizia a temere di finire dietro alle sbarre: pur di uscirne puliti si medita l’eliminazione totale del “problema” aggravando ulteriormente la propria posizione. L’indeterminatezza tipica del pensiero giovanile, il desiderio di onnipotenza che si sovrappone alla realtà, un mondo virtuale infarcito di ideologico realismo che tracolla infine nell’inevitabile e unica verità della punizione finale per colpevoli e innocenti.
Dinamiche di gruppo egregiamente descritte come critica al leaderismo carico di certezze che trascina gli incerti nel gorgo del non ritorno. Il desiderio di comunanza che giustifica ogni azione sfociando nel cameratismo più estremo. Tipi umani ben definiti, da un Justin Timberlake tatuato e con volto da bamboccio che tradisce lentamente una debolezza travestita di finto carisma, al gregario della banda, così fintamente innocuo da rivelarsi il peggior esecutore del male. Bad girls made in Usa che circondano come groupie i membri della gang, genitori conniventi e viziosi (Bruce Willis) o, dall’altra parte, eccessivamente apprensivi (Sharon Stone). Cassavetes punta il dito contro il degrado morale che investe la nuova borghesia americana, consapevole dell’impossibilità di trovare una risposta.

Dialoghi ben studiati pervadono, con slang giovanile, luoghi e situazioni, raccontando con crudo realismo un mondo di feste, sballo e violenza. Una colonna sonora da urlo, perfetta, in ogni suo punto, accompagna con arte lo sviluppo di una storia commovente e ben raccontata. Un film “generazionale”, dal gusto descrittivo che non lascia nulla all’immaginazione, né all’interpretazione. La realtà di quei fatti oscuri è lì, davanti a noi, nello schermo e nelle nostre città, talmente illogica da apparirci logica.

Curiosità
Cassavetes venne a conoscenza della vicenda di Jesse James Hollywood (Johnnie Truelove nel film) da sua figlia, che frequentava lo stesso liceo di molti dei protagonisti della storia. Hollywood, fino a poco tempo tra i più pericolosi ricercati nelle liste dell’Fbi, è stato arrestato recentemente. La sua storia è diventata una leggenda urbana nella West Valley.

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