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cultura dell'immagine e della parola

Fenomenologia della famigliola televisiva

<i>Casa Keaton</i>” />Ruini ammonisce, il Papa esterna, qualche politico polemizza e tanti s’inginocchiano per farsi il segno della croce. In attesa che il Disegno di Legge sui Dico venga votato dalle Camere, il dibattito sulla famiglia impazza e infuria sui media e tra la gente comune. E Hideout, come sempre, pensa a voi, cari lettori. In ossequio al pensiero illuminista che da sempre ci guida nella caccia al Bianconiglio, abbiamo deciso di offrirvi questa settimana <strong>un pratico bigino che illustri la concezione della famiglia così come ci è stata proposta tramite teleschermo</strong> dalla metà degli anni Settanta a oggi, in quella che Umberto Eco definisce la “neotelevisione”. L’obiettivo dichiarato è fornirvi materiale argomentativi atto a difendere le vostre posizioni quando la Cei suonerà al vostro citofono.<br />
La Tv è infatti il mezzo di comunicazione che più di tutti nel corso degli ultimi trent’anni ha saputo svolgere il ruolo di “bardo della contemporaneità”, fungendo in un certo senso da “specchio dell’anima” della nostra cultura. Una buona conoscenza dell’argomento, quindi, migliorerà la vostra autostima e vi renderà più a vostro agio in ogni occasione pubblica e privata.</p>
<p><strong>Famiglie da sit-com</strong><br />
Naturalmente non si può che partire dagli Usa, i maggiori esportatori di fiction sul piano globale, nonché massimi importatori di storie e modelli di comportamento sui teleschermi italiani.<br />
Spulciando tra i prodotti giunti a noi da oltreoceano, il dato incontestabile è la presenza di una sorta di tensione tra il desiderio di portare in luce tendenze sociali spesso complesse e il contestuale bisogno di disinnescarne il potenziale sovversivo; la necessità di renderle digeribili inquadrandole nel contesto dei buoni sentimenti e di un nucleo di valori che viene dato come costante, anche quando la realtà che lo circonda è in fermento.<br />
La parola d’ordine è “tranquillizzare”. La famiglia deve essere unita, serena e amorevole.<br />
Il medesimo modello è quindi applicabile alla realtà bianca (<em>Casa Keaton</em>, <em>Genitori in blue jeans</em>) e a quella nera (<em>I Robinson</em>), alla ricca borghesia (<em>Willy, il principe di Bel Air</em>) e all’onesta classe media (<em>Otto sotto un tetto</em>).<br />
Una volta posta questa premessa, diviene possibile concedersi anche qualche escursione in territori più impervi. Così già nel 1978 <em>Diff’rent Strokes</em> (giunta in Italia come <em>Arnold</em>) e nel 1983 <em>Webster</em> provano a interrogarsi sulla famiglia multietnica, portando i pargoletti di colore nelle residenze dei bianchi. <img class= A cura di Marco Valsecchi
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